USA-America Latina: un’integrazione difficile
09/01/2009
In occasione del IV “Vertice delle Americhe” di Mar del Plata, Waghington ha visto naufragare nuovamente le proprie aspirazioni di dare origine ad un’area di libero scambio dall’Alaska alla Patagonia
Mar del Plata (Argentina) – Riunitisi ieri in occasione della giornata di apertura del quarto “Vertice delle Americhe” a Mar del Plata, i Ministri degli Esteri dei 34 Paesi del Continente (erano assenti solo gli esponenti politici di Cuba), non sono riusciti a trovare un accordo in merito alla costituzione dell’Area de Libre Comercio de las Americas (ALCA o FTAA, Free Trade Area of the Americas). Il progetto, lanciato a Miami in occasione del primo Summit delle Americhe promosso dall’amministrazione Clinton nel dicembre del 1994, come estensione continentale dell’accordo NAFTA di libero commercio tra USA, Canada e Messico, e rilanciato con vigore dall’amministrazione Bush, sembra destinato a rimanere frustrato.
Le aspirazione di Washigton di dare vita ad un’area di libero scambio dall’Alaska alla Patagonia, hanno trovato, infatti, una fiera opposizione da parte dei Paesi del Mercosur (Mercado Comune del Sur; l’accordo di libero scambio che dal 1995 unisce Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) e del Venezuela che contestano l’assenza, nel processo di integrazione economica e commerciale, di un negoziato concreto sui sussidi, soprattutto agricoli .
Secondo i governi che si oppongono all’intesa, infatti, i sussidi che da decenni Stati Uniti e Unione Europea erogano ai produttori interni, riducono di fatto la concorrenza sui mercati internazionali a danno delle rispettive economie nazionali. Se Canada, Messico e Cile appaiono schierati dalla parte di Washington, unitamente alla gran parte dei Paesi caraibici che in anni recenti hanno sottoscritto accordi bilaterali di libero commercio con gli Stati Uniti, il fronte del Mercosur appare compatto intorno al Venezuela, che, se da un lato si riserva il diritto di non firmare nulla, nello stesso tempo ha elaborato un modello di integrazione economica regionale alternativa, denominato Alternativa Bolivariana para la America (ALBA) che trova in Cuba la sponda ideale.
In questo contesto la partecipazione di Bush al summit argentino appare destinata a concludersi con l’ennesimo nulla di fatto per un accordo che, elaborato dal comitato negoziale del novembre 2002 avrebbe dovuto, secondo i programmi della Casa Bianca, entrare in vigore entro la fine del 2005. “Quelle portate aventi da Hugo Chavez e dal governo di Caracas – analizza Peter Morici, docente di economia presso laRobert H. Smith School of Business all’Università del Maryland e già direttore dell’Ufficio Economico della U.S. International Trade Commission – sono posizioni espressamente politiche, legate ad un’ideologia di vecchio stampo che sembra estranea alle valutazioni di mercato, le quali indicano come, in assenza di necessarie riforme nei singoli Paesi latinoamericani e senza la stipulazione di un vasto accordo di cooperazione internazionale, realtà come il Venezuela, il Brasile e il Messico rischino di perdere definitamene competitività nei confronti della Cina e della sua inarrestabile crescita economica e ampliando le sacche di povertà dell’America Latina “.
Nel giudizio dell’accademico di origini italiane, tuttavia, il vero ago della bilancia, più che dal Venezuela, è rappresentato dal Brasile, che teme per il futuro della sua produzione manifatturiera. “Fino a quando gli Stati Uniti non saranno in grado di raggiungere un accordo con il Brasile in sede di WTO (World Trade Oraganizzation, l’Organizzazione del Commercio Mondiale, ndr) per ciò che concerne le questioni relative ai sussidi agricoli e il comparto manifatturiero, i negoziati per la costituzione di un’area di libero commercio americana saranno destinati inesorabilmente a fallire”.
“Il summit è fallito ancora prima di iniziare”, commenta Sabatino Annechiarico, giornalista italo-argentino esperto in geopolitica latinoamericana, facendo riferimento al fatto che, per poter discutere, i leader dei 34 Paesi del Continente abbiano dovuto blindarsi, nel timore della contestazioni di piazza. “Il cosiddetto contro-summit che si sta svolgendo presso lo stadio di Mar del Plata al quale intervengono, tra gli altri, il Presidente del Venezuela Hugo Chavez, il candidato presidenziale boliviano Evo Morales e nella quale è convogliata la marcia di protesta guidata da Diego Armando Maradona, dimostra, invece, come il fronte sudamericano sia compatto nel rifiutare l’ipotesi di un accordo finanziario che di fatto si risolverebbe in uno strumento per arricchire le multinazionali, senza considerare il benessere della popolazione. Per questo motivo il Venezuela sta lavorando ad una soluzione alternativa, l’Alternativa Bolivariana para la America, che a scambi di natura economica affianchi reciproche integrazioni culturali e progetti sociali”.
Se il fronte dei Paesi del Mercosur, coalizzato intorno all’opposizione venezuelana agli Stati Uniti, appare compatto, diverso è il discorso relativo ad altri Paesi del continente, a partire dal Messico, la cui linea di Governo è affine, per ciò che concerne l’argomento specifico, agli Stati Uniti. “Il Messico è spaccato in due. Da una parte il Presidente Vicente Fox intende dare ulteriore vigore all’accordo NAFTA, ampliando la zona di libero scambio all’intero continente; dall’altro buona parte dell’opinione pubblica contesta questa linea politica”.
Posizioni differenti che convivono all’interno di uno stesso Paese così come avviene nello stesso Venezuela, il cui governo appare oggi il maggiore ostacolo al raggiungimento di un accordo tra l’America del Sud e gli Stati Uniti. “In Venezuela – sottolinea Mauro Bafile, giornalista de “La Voce d’Italia” a Caracas – convivono le posizioni di coloro i quali ritengono necessario trovare un accordo con Washington nella considerazione che gli Stati Uniti hanno bisogno del mercato latinoamericano e che per questo i Paesi sudamericani possano in qualche modo far valere il peso di questo loro importanza strategica per l’economia statunitense, e gli esponenti di una sinistra ortodossa che ritiene invece come ogni accordo con gli USA rappresenti un beneficio ad esclusivo appannaggio delle grandi multinazionali nordamericane “.
Nell’opinione di Bafile, la partita che si sta giocando è di natura essenzialmente politica. “Di integrazione latinoamericana si parla da decenni eppure non si è mai davvero realizzata. Se il Venezuela contesta le strategie di Washington non bisogna neppure dimentica che Caracas, forte delle risorse petrolifere, ha utilizzato il Patto Andino (L’intesa sottoscritta con l’Accordo di Cartagena del 1969,da Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù) come uno strumento di geopolitica nei confronti degli altri Paesi della regione,”
Notiziario Italic Business News – News ITALIA PRESS agenzia stampa – N° 211 – Anno XII, 4 novembre 2005