Rallenta la crescita dei Brics. Sono giganti dai piedi d’argilla?
22/07/2013
Eurozona a parte, con un crisi senza precedenti, a deludere di più in questo periodo sono le economie emergenti, sulle quali all'inizio della crisi globale si concentravano le speranze che potessero raccogliere il testimone della crescita. A partire proprio dai Brics, Brasile, Russia, India, Cina e Sudfarica, tutti alle prese con una frenata che il calo della domanda mondiale, causato dai Paesi avanzati, spiega solo in parte. Per Olivier Blanchard, il capo economista dell'Fmi, alla flessione dell'export verso Stati Uniti, Europa e Giappone si può imputare al massimo un terzo della minor crescita dei Brics, che per il resto va ricondotta a fattori endogeni.
La Cina si prepara a chiudere il 2013 con una crescita del 7,8% e a frenare ancora nel 2014: è il ritmo più lento da oltre 20 anni. La transizione dal modello economico basato su investimenti fissi ed export, grazie al quale ha scalato posizioni su posizioni nella classifica delle economie mondiali, si annunciava e si rivela difficile. Bolle più o meno sotto traccia e un sistema finanziario drogato dal fenomeno dello shadow banking complicano l'obiettivo delle autorità di Pechino e accidentano il necessario percorso di riforme e liberalizzazioni.
L'altro gigante asiatico, l'India, è alle prese con la caduta senza freni della rupia, che dall'inizio dell'anno ha perso oltre l'11% sul dollaro. La flessione, insieme all'alta inflazione (attorno al 10%), frena la Banca centrale dal tagliare ancora i tassi di interesse (al 7,25%) per dare ossigeno a un'economia che ormai si è attestata su un tasso di crescita ai minimi da dieci anni. E qui a pesare è anche la mancata modernizzazione del sistema economico, che il Governo non riesce a compiere.
Gli altri tre mattoni dei Brics, quest'anno, non andranno oltre una crescita del 2,5%. Anzi del 2% nel caso del Sudafrica, che, esattamente come l'India e altri Paesi di recente industrializzazione in America Latina come in Asia, è incastrato tra alta inflazione e valuta in flessione, con la Banca centrale costretta a scegliere quale dei due problemi accentuare con le proprie strategie di politica monetaria. Un rebus complicato dal fatto che i movimenti di capitali innescati dalle decisioni della Fed e della Banca del Giappone, con l'avvio e il ritiro di politiche espansive monstre, rischiano di vanificare comunque qualsiasi sforzo.
Il Brasile, per esempio, dopo aver gridato alla «guerra delle valute» e accusato la Fed di mandare il real alle stelle con il suo quantitative easing, ora giudica troppo brusco il deprezzamento della propria moneta. E la Banca centrale ha alzato i tassi all'8,5%, malgrado l'inflazione sia ancora più alta rispetto ai desiderata del Governo e l'economia in difficoltà. Così, aspettando che il Giappone vinca la sua scommessa – uscire dalla trappola della deflazione attraverso la sua aggressiva ricetta di politiche monetarie ed economiche ultra espansive – la fiaccola della crescita mondiale torna ancora una volta nelle mani degli Stati Uniti.
Fonte:
Business Vox