Pensioni: Il modello cileno in Europa?

09/01/2009

di Alvin Rabushka
Panorama Economy

Ovunque, a partire dagli Stati Uniti, si parla di «private account» e di privatizzare il sistema. Ma questa soluzione è stata sperimentata dal governo di Santiago dal 1980. E ha prodotto risultati sorprendenti.

Una bomba a orologeria è innescata in Giappone, in Europa, nel Nord America.
In tutte le economie industriali più avanzate, la popolazione sta invecchiando velocemente.
E finanziare le pensioni e i sussidi per l’assistenza sanitaria degli anziani significa intaccare in modo sempre più consistente il reddito nazionale. Ovunque, in Occidente, il numero di lavoratori da tassare per sostenere i pensionati è diminuito drasticamente, mentre quello dei pensionati è enormemente aumentato.
Intanto, enormi deficit di bilancio, elevati oneri fiscali e un alto tasso di disoccupazione affliggono le maggiori economie d’Europa.

Ma non c’è più margine per aumentare le imposte sulla busta paga. Questo significa che i futuri pensionati riceveranno pensioni sempre più ridotte a meno che non si riescano a trovare altri mezzi. L’alternativa, negli Stati Uniti e nel mondo, si chiama pensione privata o «private account» (ovverossia il nuovo sistema previdenziale individuato a partire da gennaio dall’amministrazione statunitense: i «conti personali» investono i fondi raccolti in titoli del mercato finanziario, ndr).

Il presidente George W. Bush ha dato alla riforma della Social security statunitense carattere di priorità nazionale assoluta per il 2005, mettendola al primo posto nella grande riforma fiscale. Fino a oggi, il sistema americano ha funzionato con imposte sulla busta paga del 12,4% dei salari (fino a un massimo di 90 mila dollari), per metà pagate dal datore di lavoro e per metà dal lavoratore: questi finanziano le pensioni e i sussidi di invalidità.

IMPARIAMO DAGLI STATI UNITI senza perdere tempo
Un’aliquota contributiva del 12,4%, suddivisa equamente fra lavoratore e impresa. Che produce un rapporto tra pensione e ultimo salario del 42% di Giuliano Cazzola *

Dalla Social security degli Stati Uniti l’Italia e l’Europa avrebbero molto da imparare, anche prima della riforma. Il sistema di base è a ripartizione ed è finanziato – con prelievo fino a un massimo imponibile di 73 mila dollari – mediante un’aliquota contributiva del 12,4% (da noi siamo al 32,7%) del reddito da lavoro, a carico, in parti uguali, del datore e del lavoratore. Gli autonomi pagano interamente il contributo. Il 10,6% serve a finanziare le prestazioni pensionistiche, l’1,8% l’invalidità. Il sistema eroga 48 milioni di pensioni (33 milioni di vecchiaia, 7 milioni ai superstiti, 8 milioni per invalidità) e assicura 157 milioni di lavoratori (il 96% degli occupati).
Il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra la pensione e l’ultimo salario, è del 42% per le persone con almeno 65 anni di età. Tuttavia, questo tasso varia dal 70-80% per i lavoratori con salario basso al 15% per quelli che hanno redditi più elevati. Il carattere fortemente redistributivo del sistema pubblico spiega perché solo il 47% dei lavoratori dipendenti aderisce ai fondi pensione privati a capitalizzazione.

Il diritto alla pensione matura dopo aver versato almeno 10 anni di contributi.
Normalmente il pensionamento avviene a 65 anni, ma è possibile anticipare a 62 anni con una riduzione dell’importo della pensione. Nei prossimi 28 anni l’età pensionabile sarà innalzata a 67 anni. Le pensioni pubbliche hanno un trattamento fiscale favorevole: le rendite sono tassate (con aliquota ridotta) solo se la somma della pensione pubblica e delle altre forme di reddito supera i 32 mila dollari. Il carattere fortemente redistributivo del sistema pubblico spiega perché solo il 47% dei lavoratori dipendenti (in Italia il 12%) aderisce alle forme private a capitalizzazione, che gestiscono un patrimonio che ammonta a più di 12 mila miliardi di dollari (da noi, complessivamente, circa 40 miliardi di euro). Si tenga conto – con riferimento al caso italiano – che ai futuri pensionati, sottoposti al calcolo contributivo e già lavoratori dipendenti, sarà riconosciuto (a fronte però del versamento di un terzo della retribuzione) un tasso di sostituzione sostanzialmente analogo (più ridotta risulterà la copertura dei lavoratori autonomi) a quello medio garantito dalla Social security.

Oggi il modello Usa riesce a finanziare le prestazioni soltanto col 75% delle entrate (il 25% costituisce un surplus): da noi lo Stato aiuta a coprire la spesa pensionistica con oltre 30 miliardi di euro ogni anno. Anche la Social security, però, dovrà affrontare la fase critica del pensionamento dei baby boomer (i nati tra il 1946 e il 1964): a partire dal 2017 verrà intaccato il surplus, mentre l’incidenza della spesa sul Pil passerà dal 4,3% del 2005 (dieci punti in meno dell’Italia, sei in meno della media Ue) al 6,1% nel 2030 (quando in Italia sarà toccato il 16%). È questa prospettiva (assai poco allarmante per noi europei, abituati a ben altri squilibri) che preoccupa il presidente George W. Bush, il quale ha proposto un progetto di riforma molto semplice e lineare: la possibilità di implementare la quota a capitalizzazione privata, mediante la devoluzione volontaria di alcuni punti ora riservati all’aliquota obbligatoria.

La Social security è un sistema pay-as-you-go, basato su un piano di assegni definiti: ogni pensionato riceve un flusso certo di pagamenti, basati sul numero di anni di servizio che ha prestato e sulle retribuzioni percepite, non sul rendimento finanziario del fondo pensioni di cui fa parte: la differenza negativa tra le somme erogate in pensioni e le somme percepite come rendimento del fondo è a carico del datore di lavoro o della società che gestisce il fondo pensioni. Negli Stati Uniti il rapporto tra lavoratori e beneficiari di pensione è sceso da 16 a 1 del 1935, quando la Social security è stata introdotta, a un rapporto di 3,3 a 1 nel 2003. Scenderà ancora al rapporto di 2,2 a 1 entro il 2030. Secondo gli amministratori della Social security il pagamento delle pensioni nel 2017 supererà le tasse percepite quell’anno dal lavoro dipendente: questo porterà a un aumento delle tasse, a una riduzione dei sussidi o a una combinazione dei due fattori.

RAPPORTI ALLARMANTI
Dall’inizio di quest’anno, i funzionari dell’amministrazione Bush hanno redatto oltre 60 rapporti per avvertire gli americani della futura insolvenza del sistema previdenziale pubblico e della necessità di una sua riforma, ponendo una particolare enfasi sul trasferimento di una parte delle imposte sulla busta paga sui «private account».
Certo, oggi è ancora difficile da stabilire quale sarà, alla fine, la soluzione prescelta anche perché i democratici si oppongono fermamente ai nuovi «personal account». Ed è vero che gli Stati Uniti stanno affrontando una grave crisi della previdenza pubblica, ma la situazione è decisamente peggiore in Giappone e nell’Europa occidentale, dove le imposte sulla busta paga sono molto più elevate, il rapporto tra lavoratori e pensionati è assai più basso e la popolazione è decisamente più vecchia.
Altrove, in una trentina di Paesi, è stata acquisita nel frattempo una notevole esperienza in termini di piani pensionistici privati. Il Cile, la Svizzera, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna hanno avviato le prime riforme già negli anni Ottanta. Molti Stati dell’America Latina, dell’Europa orientale e centrale e alcune zone dell’Asia-Pacifico nell’ultimo decennio hanno saputo creare piani di accumulo pensionistico basati su accantonamenti privati. Molti Paesi dell’America Latina e dell’Europa orientale hanno finanziato i loro «personal account» trasferendovi denaro prelevato con imposte sulla busta paga pre-esistente. In alcuni Stati dell’Europa occidentale, in Australia e a Hong Kong sono stati studiati sistemi previdenziali basati su versamenti da parte delle aziende, che si aggiungono alla pensione pubblica.

MINIMO E MASSIMO
Le pensioni private dei vari sistemi differiscono sotto numerosi aspetti. I contributi da versare sui conti privati vanno da un minimo del 2,5% dei salari in Svezia fino a un massimo del 12,5% in Cile. Nella maggior parte dei casi, i versamenti vengono effettuati con somme trasferite dalle tasse sulla busta paga. La maggior parte dei Paesi che hanno optato per la soluzione del trasferimento di denaro ha dato ai lavoratori la possibilità di scegliere tra il vecchio e il nuovo sistema, imponendo però che i nuovi lavoratori aderiscano al sistema privato.

La maggior parte dei Paesi in cui è stato adottato il sistema dei «personal account» offre ai cittadini grande autonomia di scelta per quanto concerne il controllo degli investimenti dei fondi d’investimento. I lavoratori possono scegliere i gestori dei fondi e perfino il portafoglio titoli, ovviamente nel rispetto di regole tese a prevenire investimenti in attività troppo rischiose. In pochi casi i datori di lavoro, alcune volte insieme ai sindacati, scelgono le strategie d’investimento in piani di pensionamento privati.

I costi amministrativi diminuiscono con la crescita del patrimonio gestito. Vanno dallo 0,7% del patrimonio in Svezia, Australia, Svizzera e nei Paesi Bassi fino all’1,2% in Cile, dove i costi amministrativi sono stati del 9-12% nel primo anno, saranno del 4-6% fra pochi anni. I costi amministrativi all’inizio sono stati del 29,8% in El Salvador (nel 1999) e del 21% in Polonia (nel 2000), ma sono scesi rispettivamente al 9,8% e 8% il secondo anno di gestione e diminuiranno ancora nel tempo.

COMPITI RIPARTITI
I «private account» sono programmati per dare ai lavoratori oltre il 70% del reddito al momento della pensione in America Latina, il 50% nell’Europa occidentale e in Australia e il 30% circa nell’Europa orientale e centrale così come nell’ex Urss. Il resto viene garantito dai fondi statali. Ogni Paese con un sistema di «personal account» garantisce una pensione minima pari al 20%-30% del salario medio.
Il Paese che ha sviluppato il sistema più avanzato di pensioni private è il Cile, con un meccanismo che oggi può essere considerato d’esempio per Giappone, Stati Uniti ed Europa occidentale. Le pensioni private, in Cile, sono state introdotte già nel 1980. I lavoratori potevano decidere se restare nel sistema finanziato dallo Stato oppure se spostare le loro imposte sui «private account», i conti privati. Nel primo anno, la metà dei lavoratori ha optato per il nuovo meccanismo. Da quel momento, la quota raggiunta nel sistema privato è pari al 93%. I fondi statali sono stati usati per pagare i sussidi agli attuali beneficiari di pensioni statali, ma questo onere sul budget continuerà a diminuire dato che un numero sempre inferiore di questi pensionati sarà in vita.

In Cile, il trasferimento delle imposte nei fondi pensione privati ha rafforzato i mercati finanziari. I lavoratori detengono un portafoglio titoli diversificato, i fondi pensione, anno dopo anno, incassano denaro da investire in «venture» imprenditoriali. I «private account» hanno anche contribuito alla crescita del Pil. Le nuove pensioni private del Cile, grazie alla partecipazione quasi totale dei dipendenti, hanno allentato la pressione sui bilanci dello Stato riducendo le pregresse passività delle pensioni pubbliche. In futuro, il Cile potrà addirittura chiudere l’ufficio preposto al pagamento delle pensioni statali. L’unica incombenza che potrà conservare sarà il controllo sui fondi pensione privati e sulla conformità alle direttive del governo sugli investimenti.
I «private account» forniscono al singolo un patrimonio che può essere passato al coniuge superstite o ai figli. Nella maggior parte dei Paesi in cui esistono «personal account» le vedove mantengono la propria pensione accanto a quella reversibile ereditata dal marito. Così anche la situazione economica delle donne è migliorata con le pensioni private.

MENO INTERFERENZE
Sostituire le pensioni statali con quelle private significa ridurre le interferenze nella vita dei cittadini, ponendo fine alla paura di nuove imposte sulla busta paga o alla prospettiva di sussidi ridotti. Una popolazione con pensioni private partecipa maggiormente alla crescita economica rispetto a quella che dipende dal governo per la pensione. Quando la maggior parte degli anziani sarà in possesso di azioni e obbligazioni, eleggerà i politici che intendono adottare politiche economiche mirate all’aumento dei loro redditi e della loro ricchezza, e non quelli che proporranno politiche basate sulla ridistribuzione della ricchezza dai lavoratori ai pensionati.

Panorama.it
18/7/2005
* economista della Hoover Institution di Stanford