«Non abbiate paura!» L’eredità del Papa che ha cambiato la storia
09/01/2009
Un anno senza Wojtyla, il primo Papa polacco della storia, che in oltre 26 anni di pontificato – il terzo per durata dall’epoca di San Pietro – ha contributo, nell’opinione condivisa da credenti e non credenti, a cambiare il corso della storia e ha rappresentato la più alta testimonianza di fede, traghettando la Chiesa dal secondo al terzo millennio.
Dai giorni della sofferenza e dell’agonia, in cui il mondo intero ha trattenuto il fiato, dalla morte alle 21,37 di quel 2 aprile 2005, in una Roma invasa da milioni di fedeli, dai funerali celebrati davanti ai potenti della Terra, dall’invocazione del «santo subito» elevatasi dalla folla, siamo tutti un po’ orfani di lui. Domenica prossima, nella stessa ora in cui Giovanni Paolo II si spense, Benedetto XVI si affaccerà in piazza San Pietro e concluderà con la benedizione apostolica la commemorazione organizzata dalla diocesi di Roma con preghiere, canti mariani e letture di testi di Karol Wojtyla.
La causa di beatificazione. Continuano intanto ad arrivare segnalazioni di presunti miracoli compiuti per intercessione del defunto pontefice. L’ultimo in ordine di tempo, giunto sulla scrivania del postulatore Slawomir Oder è quello di un americano che attribuisce a papa Wojtyla la guarigione da una malattia al fegato, probabilmente una cirrosi. Mons. Oder lo ha raccontato ai microfoni di Radiorai. Il postulatore ha anche ricordato che il caso in esame per la beatificazione – la guarigione di una giovane suora francese malata di Parkinson – «non è ancora accertato come miracolo: per ora possiamo parlare soltanto di un evento, di una guarigione che viene attribuita all’intercessione di Giovanni Paolo II».
Nei tanti fedeli che non hanno mai smesso di accorrere sulla tomba vibra quel senso di «vuoto» che egli ha lasciato e resta il ricordo dell’appello contenuto nella sua omelia di inizio pontificato, il 22 ottobre1978: «Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici, come quelli politici», quasi un profetico annuncio della caduta del comunismo in Russia e negli altri Paesi dell’Europa orientale.
Giovanni Paolo II è stato il Papa dei diritti umani e della solidarietà verso i più poveri e indifesi, della dignità del lavoro e dell’attenzione a nuovi equilibri internazionali, dei viaggi in ogni angolo del mondo, del perdono chiesto per le colpe storiche della Chiesa cattolica e di quello concesso a colui che attentò alla sua vita in piazza San Pietro, del dialogo con le altre confessioni religiose e del tenace rifiuto della guerra come mezzo per risolvere le crisi tra gli Stati.
Anche la Cina stava nel cuore di Wojtyla: lo ha voluto sottolineare il neo cardinale Stanislaw Dziwisz e suo ex segretario personale, dopo le recenti dichiarazioni di monsignor Giovanni Lajolo che, in due interviste a un quotidiano e a una radio cinese, ha parlato di «contatti non ufficiali» tra Vaticano e Pechino. Il cardinale Dziwisz, ha spiegato che «tanti sforzi si facevano e si fanno tuttora», perché Giovanni Paolo II «nutriva infatti grande fiducia nel popolo cinese». Lajolo ha anche parlato del «grande desiderio» di Benedetto XVI di andare a Pechino e ha indicato come una data possibile per il viaggio il 2008, anno in cui la Cina ospiterà le Olimpiadi.
Il testamento spirituale. Papa Ratzinger, nel raccoglierne l’ardua e complessa eredità, più volte ha ricordato il suo «venerato predecessore», così profondamente «entrato nel cuore della gente»; domenica 26 marzo, visitando una parrocchia romana, ha letto ai fedeli alcune frasi dell’omelia che Giovanni Paolo II avrebbe dovuto pronunciare il 3 aprile dell’anno scorso: «All’umanità che talora sembra smarrita e dominata dal potere del male, dell’egoismo e della paura – si legge nel testo wojtyliano – il Signore risorto offre in dono il suo amore che perdona, riconcilia e apre l’animo alla speranza: è amore che converte i cuori e dona la pace».
Un’annotazione, scritta durante gli esercizi spirituali dell’anno giubilare 2000 (datata 12-18 marzo) e contenuta nel suo testamento, fa chiarezza anche sul giudizio storico di Giovanni Paolo II in merito al Concilio: «Stando sulla soglia del terzo millennio in medio Ecclesiae, desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito».
«Discontinuità dolce». Nel suo primo anno di pontificato Benedetto XVI, smentendo chi lo aveva troppo presto etichettato tout court come conservatore, ha cominciato a valorizzare il principio di collegialità affermando significativamente, al momento dell’annuncio del suo primo Concistoro, che «i cardinali costituiscono intorno al Papa una sorta di Senato, di cui egli si avvale nel disimpegno dei compiti connessi col suo ministero». Il metodo scelto da papa Ratzinger per ridisegnare il primato pontificio in senso più ecumenico è quello dei piccoli passi, senza suscitare troppe resistenze nella Curia romana, essa pure prevedibilmente avviata verso un modello più razionale e più snello.
Il vaticanista Giancarlo Zizola, nel suo ultimo libro «Benedetto XVI – Un successore al crocevia» (edito da Sperling & Kupfer), vede nello stile di papa Ratzinger «una discontinuità dolce rispetto all’impronta di Giovanni Paolo II», rivelatasi già l’estate scorsa nello scenario «wojtyliano» della Gmg di Colonia. Letta in quest’ottica, la transizione fra i due pontificati sembra avere dato vita – aggiunge Zizola – «a una delle migliori testimonianze delle risorse della Chiesa romana di restaurare senza distruggere», incorporando anche «elementi innovativi, potenzialmente dirompenti» nelle istitutuzioni della tradizione.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
di Piero Fornara