Nel 2004 import a quota 7,3%. L’export si ferma al 6,1%
09/01/2009
Per il 2004, esportazioni in ripresa a più 6,1% ma import che cresce in misura maggiore, del 7,3%.
Con i partner europei diminuiscono i volumi esportati ma aumenta il valore complessivo scambiato; mentre per i paesi Extra Ue, si assiste a un aumento complessivo sia dei beni sia dei valori. La Russia è il primo partner commerciale dell’Europa, sul fronte export, mentre la Cina ha superato l’America come paese fornitore per l’Italia.
All’estero funziona bene l’export dei macchinari e della siderurgia mentre soffre un po’ il made in Italy. È questo il quadro della bilancia commerciale dell’Italia contenuto nella relazione annuale dell’Ice, istituto del commercio estero, che sarà presentata il 5 luglio prossimo e che Beniamino Quintieri, presidente dell’istituto, anticipa a ItaliaOggi Sette.
Domanda. Com’è lo stato di salute dell’export italiano?
Risposta. Direi che dal 2004 si è vista una ripresa dell’export. Le esportazioni sono ricominciate a crescere dopo due anni di difficoltà, il tasso di crescita di queste esportazioni però è abbastanza lento se si confronta con la crescita mondiale. E quindi anche in presenza di un fatto positivo, dell’aumento dell’export italiano risulta che quel tasso di crescita è in calo rispetto alle esportazioni mondiali.
D. Ma in che misura sono cresciute le esportazioni e le importazioni dell’Italia?
R. Le esportazioni nel 2004 rispetto al 2003 sono cresciute del 6,1%, le importazioni sono cresciute, invece, più dell’export del 7,3%.
L’aumento dell’export e quello dell’import sono il risultato dell’aumento del valore dei prezzi delle merci esportate e non delle quantità. I prezzi delle materie prime sono aumentati. E allora bisogna leggere il dato precisando che nell’Unione europea le esportazioni in quantità si sono ridotte ma è aumentato il valore di ciò che è stato esportato. La crescita significativa dei prezzi dunque ha più che compensato la lieve diminuzione dei volumi. È quasi la metà di questo aumento dell’export è imputabile ai mercati di paesi come la Francia e la Spagna. Fuori dall’Ue l’aumento dell’export è dipeso sia dai prezzi sia dalle quantità. In queste aree la crescita dell’export italiano ha avuto una dinamica sostenuta in Russia e in Turchia. La Russia è stato il principale paese di destinazione nell’Europa orientale e l’Italia ha superato l’export di Polonia e Romania verso quel paese. In Asia per i mercati di sbocco la Cina ha superato il Giappone, mentre sempre la Cina ha superato gli Stati Uniti come paesi fornitori dell’Italia.
D. Dai dati in vostro possesso che cosa si evidenzia e quali settori sono in crescita e quali in calo?
R. Sono in crescita il settore dei metalli e i prodotti della siderurgia, più in generale tutta la parte meccanica e siderurgica. È andato bene anche il settore dell’alimentare, mentre abbiamo registrato lievi contrazioni nel tessile e abbigliamento. I settori del made in Italy, dei beni di consumo hanno un po’ sofferto.
D. Verso quali paesi il made in Italy può avere degli spazi per crescere e quali sono le strategie da adottare?
R. Abbastanza interessanti i paesi che crescono velocemente e dunque l’attenzione resta nei confronti della Russia, dei paesi dell’Est e della Turchia, paese verso il quale le esportazioni stanno crescendo rapidamente.
Dollaro permettendo, se ci sarà una piccola svalutazione dell’euro bisognerà puntare anche alla provincia Americana, muoversi, insomma, dalla West e dalla East coast verso l’interno. La strategia da perseguire rimane verso le grandi aree, l’Asia, innanzitutto per la crescita rapida, l’Est Europa, perché lì vanno bene le nostre esportazioni e la presenza nei paesi orientali, come gli Emirati arabi perché hanno risorse da investire e una liquidità adeguata e infine vorrei segnalare anche la Turchia perché cresce molto e ha una forte domanda orientata verso i prodotti italiani.
D. Le associazioni di categorie chiedono che si dia attuazione alla proposta italiana del marchio d’origine. Che risposta fornisce l’Ue sul punto?
R. Le associazioni di categoria non sono tutte così compatte e ciascuna impresa a seconda della sua posizione sul mercato sostiene questa posizione o un’altra diversa. Bisogna tenere presente che i processi produttivi tendono a delocalizzare e avere, dunque, regolamenti troppo restrittivi non gioverebbe al settore manufatturiero italiano ma allo stesso tempo non gioverebbe una soluzione opposta di una tutela lieve. Personalmente sarei abbastanza contrario a una soluzione restrittiva e cioè di chiamare made in Italy tutto ciò che è prodotto in Italia. Un marchio d’origine è comunque auspicabile ma soprattutto è importante controllare meglio di quanto non sia stato fatto prima i prodotti in entrata.
D. Quali altri settori dopo il tessile e il calzaturiero rischiano una concorrenza molto aggressiva da parte dei paesi emergenti?
R. Tutti i settori rischiano la concorrenza dei paesi emergenti. Paesi come la Cina possono fare una forte concorrenza. Hanno quote elevatissime anche nei prodotti ad alta tecnologia e più che politiche di chiusura l’auspicio è che si varino adeguate strategie di contrattacco per potenziare la competitività e la reattività delle nostre imprese.
ItaliaOggi Sette – competitivitÀ
Numero 151, pag. 6 del 27/6/2005
Autore: di Cristina Bartelli