Montipò: “Export e acquisizioni, Interpump verso un miliardo di ricavi”
27/04/2015
Il presidente e ad: avanti con lo shopping, vogliamo rafforzarci all’estero
«Non si può governare una nave se non la si conosce fino all’ultimo chiodo», dice Fulvio Montipò, tra uno sbuffo e l’altro del toscano sempre acceso. A lui, della sua Interpump, non sfugge un bullone: dopo tanti anni, «mi basta dare un’occhiata a un bidone di trucioli per capire se la lavorazione è stata fatta bene o male, se un collaboratore era distratto, assonnato o impreparato». Tutto è nato nel ’77 da una sua intuizione (usare la ceramica per i pistoni delle pompe a pressione) e ancora oggi è lui ad accordare gli strumenti e dirigere l’orchestra. «Resto convinto che i risultati siano direttamente dipendenti dal rapporto con le cose che facciamo, dalla passione che spendiamo nel farle». Così, anche negli anni peggiori della crisi, non solo il gruppo ha difeso le posizioni, ma è cresciuto.
Il 2014 si è chiuso con ricavi in crescita del 20,8% a 672 milioni e un utile netto da 57,7 milioni di euro, +31%. Anche quest’anno, dice Montipò, «è cominciato più o meno in linea con le attese. Dopo anni di nebbia, in cui abbiamo riportato comunque conti record, il 2015 sembra concedere una visibilità maggiore, sarà un altro anno positivo». Nei due business della società, il patron vede per il 2015 «una buona effervescenza nell’acqua, un po’ meno nell’olio. La cosa che conforta è che i portafogli ordini sono più ricchi di un anno fa».
Dottor Montipò, qual è il suo obiettivo per Interpump?
«Dobbiamo accelerare la crescita, perché crescendo si è più forti e si resiste meglio alle tempeste. Siamo in linea con l’obiettivo di arrivare al miliardo di fatturato nel 2017: quest’anno puntiamo agli 850 milioni. Dopo aver raggiunto quel traguardo, però, pensiamo a fare un altro balzo in avanti per fare assumere a questo gruppo dimensioni ancora più importanti».
Continuerete le acquisizioni?
«Esportiamo circa l’87% della nostra produzione, siamo presenti nei 5 continenti per capire i mercati, le culture, i bisogni, le difficoltà. Ogni acquisizione – ne abbiamo fatte una quarantina – ci aggiunge cavalli motore. Abbiamo sempre le antenne alzate per verificare se le opportunità che si presentano siano intonate o meno con le nostre attività o aprano nuove strade».
Parliamo dei business del gruppo. All’inizio erano tre…
«Sì, ma nel 2005 abbiamo venduto la linea legata alla pulizia (cleaning) e ai relativi macchinari perché confliggeva con la nostra attività commerciale nel business dell’acqua. Oggi, col 50% di quota di mercato, siamo leader mondiali nei sistemi che governano questo elemento difficile e magico: andiamo dalle pompe domestiche, alle pressioni basse per il lavaggio delle automobili, medio/alte per la pulizia delle piste aeroportuali fino alle altissime pressioni con cui l’acqua taglia l’acciaio, o pulisce in tempi record interi scafi delle navi, fino a sistemi per estrarre il petrolio e il gas dagli scisti argillosi, il cosiddetto shale oil».
E poi c’è l’olio.
«L’acqua vale un terzo del fatturato del gruppo. Il resto è l’olio, business in cui siamo partiti negli anni 2000: con una sequela di acquisizioni siamo divenuti il primo costruttore al mondo di prese di forza, anche qui col 50% delle quote di mercato. Siamo passati poi ai cilindri oleodinamici, utilizzati nei ribaltabili, nei macchinari di movimento terra fino alle dighe, dove cilindri enormi muovono barriere e chiuse. Nei cilindri siamo tra i primi cinque al mondo. Negli ultimi due anni abbiamo aggiunto le valvole di regolazione, i distributori e i tubi».
Sarà nell’olio che si concentrerà la crescita?
«Non c’è una predilezione. Anche se l’olio è un mercato talmente vasto che ci offre molte più opportunità di quante ne offra l’acqua, dove puntiamo a mantenere il primato».
Su quali aree puntate?
«Gli Stati Uniti sono il mercato per noi più grande, seguiti da Europa e Oceania: per qualche anno resteranno protagonisti. Stiamo poi crescendo bene in Estremo Oriente, dove le potenzialità sono enormi: penso a Cina, India, Corea dove abbiamo anche insediamenti produttivi. Siamo presenti con soddisfazione in Africa anche se l’area mediterranea sta un po’ soffrendo. In Sud America puntiamo sul Brasile, Paese difficile ma con buone prospettive».
Lei ha creato il suo gruppo partendo da zero. Oggi sarebbe ancora possibile?
«Me lo chiedo tante volte… Il mondo è cambiato. Ma più del momento storico conta l’approccio con cui si fanno le cose. C’è sempre posto sul pullman del fare…».
Ma se potesse dare al governo una priorità in fatto di regole, quale indicherebbe?
«Senza dubbio assicurare la certezza del diritto. Le tasse? Quando le imprese vanno bene non sono quei 2 o 3 punti in più a fare la differenza. Sono convinto che la manifattura in Italia sia una potenza sbalorditiva. Bisogna fare in modo che il giocattolo non si rompa, ma non siamo gli ultimi della classe. Abbiamo saperi e tecnologia che altri possono solo invidiarci».
Interpump Group S.p.A. è il maggiore produttore mondiale di pompe a pistoni professionali ad alta pressione ed uno dei principali gruppi operanti sui mercati internazionali nel settore dell’oleodinamica. L’azienda è stata fondata nel 1977 da Fulvio Montipò a Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia)
Fonte: La Stampa