Mondiale 2014 Brasile, la rete delle aziende italiane

16/06/2014

In Brasile c'è spazio per una rivincita. Se non su un campo da calcio, per lo meno sul fronte economico.
Il nostro Paese, infatti, già da tempo gioca 'in casa' in terra carioca e, nonostante la complessità fiscale, la lentezza burocratica e i dazi doganali, il Brasile è da decenni terreno fertile per le imprese made in Italy
Non è un caso che l'Italia si confermi ancora il secondo partner commerciale europeo – dopo la Germania – e l'ottavo a livello mondiale.

OLTRE MILLE IMPRESE. In Brasile ci sono oltre 1.000 imprese italiane con 845 stabilimenti produttivi, che guardano al Mondiale come a una buona occasione di business.
«L'Italia è stato il Paese che più di tutti ha contribuito alla realizzazione degli impianti sportivi e delle infrastrutture necessarie per lo svolgimento dell'evento», spiega a Lettera43.it Vincenzo Longo, analista finanziario della società di trading Ig che ha condotto uno studio sull'impatto della Coppa del mondo sul Brasile e i benefici economici per le imprese italiane.

IN CERCA DI VISIBILITÀ. Le nostre aziende, prosegue Longo, sono state in prima fila anche per aggiudicarsi tutte le gare più importanti per i lavori preparatori per il Mondiale. Certo le difficoltà non sono mancate. Ormai da tempo il Paese carioca non è più quell'Eldorado che sembrava.

Dal boom al lento declino: il Brasile nella spirale della crisi

Porto Alegre: lavori in corso all'interno dello stadio Beira-Rio.

(© GettyImages) Porto Alegre: lavori in corso all'interno dello stadio Beira-Rio.

Negli ultimi 20 anni il Brasile ha registrato una crescita costante al punto da diventare, fra i Paesi emergenti, il secondo, dopo la Cina, per sviluppo economico.
Una crescita trainata soprattutto dalle materie prime alimentari: è il primo produttore mondiale di caffè (qualità arabica) e di zucchero, il secondo per grano e soia. Ma il boom si è ormai esaurito.

Ma già prima del 2007 il Prodotto interno lordo brasiliano ha iniziato a frenare la sua corsa fino ad arrestarsi e sfiorare la recessione negli anni della crisi. Ora è anemico e ha ritmi quasi 'europei'.

IL RAPPORTO DEFICIT-PIL. Nel 2013 il deficit del Brasile è stato al 3,7% del Pil, il massimo degli ultimi 12 anni. Numeri che hanno messo sull'attenti
le agenzie di rating che on hanno mancato di rendere pubbliche le loro perplessità. Tanto che Standard & Poor's a marzo ha ridotto di un livello il proprio giudizio sul debito brasiliano, portandolo a ridosso della soglia 'speculativa' (ora è Bbb-).

DISOCCUPAZIONE AI MINIMI. L'unica buona notizia arriva dal fronte del lavoro: a gennaio il tasso di disoccupazione ha toccato il suo minimo storico, attestandosi al 4,3%.
Il quadro tuttavia non è buono, ed è reso anche peggiore dall'incertezza politica per le prossime elezioni. C'è il timore che nemmeno il Mondiale in casa né una vittoria possano davvero contribuire a smuovere il Paese dalla sua immobilità.

I SOLDI ARRIVANO DAI PRIVATI. Le difficoltà dello Stato sono state evidenti anche nella preparazione di questa edizione della Coppa del mondo: come sottolineano gli analisti di Ig, le spese vive per infrastrutture e servizi sono state in gran parte sostenute da finanziamenti privati. Lo Stato si è fatto solamente carico dei pagamenti legati a eventuali ritardi nei lavori. Di più non ha voluto – e non avrebbe potuto – fare.
GLI EFFETTI COLLATERALI. Certo, ora il Mondiale promette importanti vantaggi: primo fra tutti un forte afflusso di turisti e tifosi, con ripercussioni positive sulle strutture ricettive e le attività commerciali, ma anche importanti investimenti in infrastrutture. A questo si associa la potenziale creazione di nuovi posti di lavoro e soprattutto la promozione del 'marchio Paese'.

MONDIALE COSTATO 13,3 MLD. Ma si tratta di benefici che comunque, a detta degli analisti di Ig, nascondono anche costi considerevoli a partire proprio dall'aumento del deficit sulla scia del forte incremento della spesa pubblica per le infrastrutture.
Per questo Mondiale gli investimenti complessivi si aggirano intorno ai 13,3 miliardi di dollari, molto più di quello che il Brasile da solo avrebbe potuto permettersi e più anche dell'edizione del torneo in Sudafrica nel 2010, dove sono stati messi sul piatto 12 miliardi di dollari. 

Da Fiat ad Atlantia: l'Italia che fa 'viaggiare' lo Stato carioca

Fiat Novo Uno Rua.

Fiat Novo Uno Rua.

Il Brasile della Coppa del mondo ha rappresentato anche una buona occasione di business per le aziende italiane presenti nel Paese.
Sono italiani, per esempio ben 1.550 chilometri di autostrade gestite da Atlantia insieme con Bertin, e che nel 2013 hanno registrato ricavi per oltre 300 milioni di euro. C'è del tricolore anche negli aeroporti dove il gruppo Autogrill, attraverso il marchio World duty free ha numerose licenze. 
Ma, più in generale, in terra carioca le aziende italiane vantano numeri importanti, diventando in alcuni casi leader del settore.

AL LINGOTTO IL 23% DEL MERCATO. È il caso di Fiat che nel Paese sudamericano ha una quota di mercato del 23% e si conferma il primo produttore di auto e il primo anche sul fronte delle immatricolazioni degli ultimi 13 anni. 
Nello stabilimento di Betim, il Lingotto produce 800 mila veicoli all'anno e, entro la fine dell'anno, vuole aprire un nuovo polo a Pernambuco: sarà il più imponente stabilimento Fiat di tutto il mondo e dovrebbe prevedere una produzione iniziale di 200 mila veicoli all'anno per arrivare poi al milione entro il 2018. 
Dietro c'è un investimento di 4,5 miliardi di euro e, per finanziarlo, sono stati utilizzati esclusivamente i ricavi generati in Brasile.

LE GOMME CHE PARLANO ITALIANO. Ma Fiat non è la sola. Con lei c'è Pirelli che è stata una delle prime aziende ad approdare in Brasile nel lontano 1929 e che oggi, con cinque stabilimenti, monta pneumatici su circa il 50% delle auto e oltre il 90% delle moto che circolano in Brasile.
Non stupisce quindi che il 35% del fatturato mondiale dell'azienda arrivi proprio da lì.

IL CONTROLLO DI TIM BRAZIL. Nell'elenco della grandi imprese italiane c'è anche un operatore telefonico: Telecom Italia (passata alla spagnola Telefonica nel 2013), che tramite la controllata Tim Brazil è il secondo operatore nel Paese con una quota di mercato del 27%.
Quello brasiliano per Telecom è uno degli asset più redditizi, anche se sono mesi che si parla della possibile vendita dell'attività in Sudamerica.

INDOTTO PER LE IMPRESE ITALIANE. Le grandi imprese italiane con una base nel Paese sudamericano, in realtà – come sottolineano anche gli analisti di Ig – non sono solo in grado di produrre profitto per sé, ma si trasformano in uno strumento chiave per costruire un indotto di imprese italiane. Aziende che, con le spalle coperte, possono affrontare anche loro la propria 'sfida Mundial'.

 

Fonte:
lettera 43