Marchionne oltre l’India

09/01/2009

Far vincere alla Cnh la guerra dei trattori. Conquistare i clienti della Golf e della Focus. Restituire fiducia a una rete di vendita infedele. Per il manager che ha risanato i conti del gruppo torinese e che ha creato una fitta rete di alleanze internazionali, le sfide non sono finite. Resta un dubbio: è davvero al sicuro il più piccolo tra i grandi produttori di auto?

Non ha ancora finito di sistemare la Fiat auto e già Sergio Marchionne salta sul trattore: il 54enne manager italocanadese, detto l’infaticabile, dedica ormai una settimana al mese alla Cnh di Chicago (Case-New Holland), la seconda società per importanza nel gruppo torinese che produce macchine per l’agricoltura e le costruzioni. È uno dei giganti mondiali del settore, si confronta con colossi come John Deere e Caterpillar ma ha una redditività più bassa.

Anche qui Marchionne applica la sua ricetta, semplice e pragmatica: snellire il vertice, ringiovanire il management, rafforzare i marchi. E i risultati si vedono: aveva promesso di raggiungere il 10 per cento di margine operativo nel 2007 e siamo già al 9,1 per cento nel secondo trimestre di quest’anno. Non c’è che dire, assumendo due anni fa un Marchionne allora quasi sconosciuto, gli Agnelli hanno fatto uno dei migliori affari della loro storia. E ora il dirigente – che ha costruito il suo successo anche grazie alla debolezza della casata piemontese – è diventato una star del mondo dell’auto, invidiato dai colleghi di Detroit e secondo per fama solo al mitico Carlos Ghosn della Renault-Nissan.

Il risanamento della Fiat auto, coronato dall’ultima alleanza strategica con l’indiana Tata, è indubbiamente sorprendente. Un’azienda che solo cinque anni fa sembrava sull’orlo del fallimento è tornata in utile operativo, la sua quota di mercato in Europa è salita a quasi l’8 per cento, i concessionari hanno venduto per la prima volta dal 2001 più di 1 milione di auto in un singolo semestre e il titolo del gruppo ha guadagnato quest’anno più del 40 per cento.

Marchionne ha risolto i problemi finanziari chiudendo alla grande la joint-venture con la General Motors, rinegoziando con successo la conversione del prestito con le banche, vendendo attività non centrali come Italenergia o gli impianti di Sestrière, trovando un partner per la Fidis e preparandosi ora a uscire dalla Mediobanca e a riprendersi la Ferrari. Tra le notizie fornite lunedì 24 luglio dalla Fiat, una di quelle che hanno sorpreso più favorevolmente gli analisti finanziari riguarda proprio il debito del gruppo, sceso a 2,3 miliardi di euro, grazie a una generazione di cassa di ben 600 milioni.

Parallelamente Marchionne ha chiuso in tempi record il contratto con i sindacati, ha ridotto all’osso i vertici aziendali e ha gettato una rete di accordi internazionali molto mirati. La Fiat è brava a fare utilitarie? Bene, allora la casa italiana produrrà nel suo impianto polacco non solo la Cinquecento ma anche la nuova Ka della Ford. Non ha esperienza nei 4X4? Allora si fa fare la Sedici dalla Suzuki. E con questa filosofia pragmatica ha annunciato una nuova raffica di alleanze che abbracciano l’India e l’Argentina con il gruppo di Ratan Tata, la Cina con la Saic e la Russia con la Severstal.

L’aspetto interessante di alcune di queste intese è che permettono alla Fiat di produrre praticamente a costo zero, usando impianti e catene di montaggio ampiamente ammortizzati: è il caso del Ducato in Russia o della fabbrica in Argentina. Inoltre l’alleanza tra l’Iveco e la Saic consente alla Fiat di posizionarsi bene in un mercato, quello cinese, che potrebbe diventare il primo al mondo per i camion. Ma anche di fronte a così tante buone notizie, il lavoro che resta da fare è ancora tanto. Oltre alla Cnh, ci sono altre tre aree critiche: l’auto in Europa, gli impianti, ormai invecchiati, e la rete di vendita.

In attesa della Bravo. Il successo della Panda e della Punto (313 mila ordini per la nuova e 90 mila per il vecchio modello) hanno riportato al pareggio le attività in Europa della Fiat auto, che però dipende ancora troppo dai buoni risultati del Brasile, secondo mercato dopo quello italiano. Per uscire da una situazione fragile, la casa conta molto sul lancio della Bravo, l’erede della Stilo. La nuova vettura, simile come linea alla Grande Punto, dovrebbe entrare in produzione a Cassino in novembre ed essere lanciata all’inizio del prossimo anno dopo appena 18 mesi dal via libera del progetto: «Un tempo record per noi e per il settore» dice Luca De Meo, 39 anni, responsabile del marchio Fiat.

La Bravo appartiene al cosiddetto segmento C del mercato, quello della Volkswagen Golf o della Ford Focus, che rappresenta circa un quarto delle vendite di auto in Europa. Essere presenti in questo segmento è importante, perché permette di entrare nelle grandi flotte aziendali e di aumentare gli utili: la Renault, per esempio, realizza il 60 per cento dei suoi profitti con la famiglia Mégane. E d’altra parte, come sottolinea Giuseppe Volpato dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, «una casa automobilistica presente solo nei segmenti più bassi non sopravvive».

Ma riuscirà questa volta la Fiat a sfondare nel mercato più affollato d’Europa? Dopo l’insuccesso della Stilo, che non superò mai le 200 mila auto vendute contro quasi il doppio della precedente famiglia Bravo-Brava, la casa torinese si è data un obiettivo molto prudente: 120 mila Bravo all’anno. Probabilmente, come è accaduto con la Punto, il target è tenuto volutamente basso e si arriverà a vendere 200 mila Bravo. Sarebbe un buon risultato: ma, si chiede la Merrill Lynch in uno studio molto critico sulla Fiat, bastano 200 mila auto per far sentire la propria presenza in un mercato dove i concorrenti vendono tre volte tanto?

Comunque, la Fiat potrà sfruttare il prossimo anno una finestra temporale favorevole: l’unica vettura di massa che verrà lanciata negli stessi mesi è la Toyota Corolla. Poi, in settembre, la casa italiana lancerà il remake della Cinquecento, con un obiettivo di 120 mila auto, e quindi il progetto D200, una berlina prodotta in Turchia e in India e destinata forse a fare da concorrente alla Logan, la Renault a basso costo.

La rete. Un altro tallone d’Achille è la rete di vendita, sulla quale la Fiat sta lavorando sodo, come rivela l’accordo con l’Ikea sull’arredamento dei saloni, per ridarle entusiasmo e soprattutto quattrini. Secondo gli analisti della Merrill Lynch, la redditività media dei concessionari Fiat è scesa infatti sotto l’1 per cento. Anche per questo la fedeltà dei venditori alla marca italiana non è molto alta: la società di ricerche DealerStat ha condotto un’indagine su 1.025 concessionari di tutte le case operanti in Italia (un terzo del totale) per misurare il loro grado di soddisfazione.

Risultato: soltanto il 4 per cento del campione, se dovesse ripartire da zero, sceglierebbe la Fiat come auto da vendere (contro il 23 per cento ottenuto dalla Toyota) e solo il 14 per cento dei venditori Fiat tornerebbe a lavorare con la casa torinese. Certo, su questi risultati pesano le recenti difficoltà del gruppo. Ma il rilancio della Fiat auto passa necessariamente per i concessionari. Solo così si potranno garantire quattro o cinque anni di relativa sicurezza. Dopo, forse, per il più piccolo dei produttori di auto di massa si tornerà a parlare di alleanze. Questa volta con la A maiuscola.

FONTE:
PANORAMA
GUIDO FONTANELLI

TATA CREA L’AUTO DA 1.600 EURO

La società indiana sta per lanciare una vettura simile alla vecchia 500

C’è un dossier, tra i molti di cui la Fiat e la Tata hanno discusso, che non è mai stato portato sul tavolo delle trattative. È quello che reca sulla copertina la dicitura «Rs 1-lakh Tata car» che, tradotto dall’indo-inglese significa: automobile Tata da 100 mila rupie (cioè 1.600 euro).

L’auto low cost della Tata verrà lanciata alla fine del 2008: sarà capace di trasportare 4 persone con un livello accettabile di comfort e di sicurezza, utilizzerà un motore bicilindrico di circa 600 cc (alimentato però a gasolio) rispondente a norme che corrispondono al nostro Euro 4.

La formula su cui stanno lavorando da tempo i migliori progettisti indiani e i più qualificati consulenti (tra cui l’americana Ge Plastic e l’italiana Bertone) è molto semplice: utilizzare quello che era stato lo schema della mitica Fiat 500 (motore e trazione posteriori, due soli cilindri, carrozzeria semplice ma spaziosa) sfruttando tutte le opportunità offerte dalla tecnologia e dalla localizzazione industriale per abbassare al massimo i costi.

Nel primo anno di commercializzazione gli analisti prevedono una vendita di 300 mila vetture, mentre nel 2010 si dovrebbe arrivare a 1 milione, di cui la metà all’esportazione. E si azzardano anche valutazioni sulla redditività dell’operazione: il margine per ogni auto venduta potrebbe essere di 30 mila rupie, circa 480 euro.

Fonte:
PANORAMA
Andrea Silvuni