L’Unione Europea: “L’Italia cresce come la Grecia e meno della Spagna”
25/02/2014
Possiamo provare a consolarci con i conti pubblici, e col lieve miglioramento che la Commissione Ue attribuisce all’andamento del deficit 2014 nei confronti del pil. Ma è un piacere relativo, visto che Bruxelles ci avverte subito che “senza cambiamenti di politica” il saldo strutturale è destinato a peggiorare nel 2015: è un invito a far di più che rappresenta tutto meno che un buon segnale. Anche perché, a vedere le previsioni d‘inverno di Bruxelles, il quadro dell’economia reale per l’Italia contiene seri elementi di sconforto.
I tecnici di Olli Rehn, responsabile Ue per l’Economia, alzano nelle loro previsioni di inverno (rispetto a quelle d’autunno) la stima per la crescita dell’Eurozona nel 2014 da 1,1 a 1,2 percento. Allo stesso tempo la riducono dello 0,1 per noi – da 0,7 a 0,6% – , dimostrando ancora una vota che l’1,1% calcolato dal governo Letta per programma la Legge di Stabilità non appare realistico. Il che cambia tutte le prospettive.
Cresciamo la metà di Eurolandia, come la Grecia e meno della Spagna (1%). Andiamo in controtendenza, e insistiamo nella serie nera dello sviluppo che non c’è, un dramma più che decennale. Così non sorprende che la previsione per la disoccupazione sia condotta da 12,04 a 12,6, mentre quella dell’Ue cala da 12.1 a 12. “Una lenta ripresa”, sintetizza Bruxelles. “Molto timida”. In realtà siamo appena sopra la soglia dello stallo. E gli effetti positivi sul mondo del lavoro non si vedranno sino al 2015, e pure in misura ridotta. Il disagio sociale è destinato a continuare, a meno di una chiara sterzata da parte del governo e delle parti sociali.
Crescita. Nel 2013 il pil è andato in rosso dell’1,9 per cento contro la media Ue di – 0,4 per cento. La frenatona viene attribuita alla forte caduta della domanda interna, dovuta alle ristrette condizioni della liquidità e all’incertezza che ha indebolito consumi e investimenti. La ripresina 2014 sarà trainata dal commercio internazionale, dalle richieste che arriveranno dall’estero. La domanda interna dovrebbe aumentare leggermente. In calo gli investimenti per l’edilizia. “Con il mercato del lavoro ancora in difficoltà, i consumi privati avranno un aumento solo marginale”, dice la Commissione. Retribuzioni reali calcolate in discesa dello 0,4 nel 2014. Inflazione allo 0,9 per cento.
Conti pubblici. Il deficit si è fermato al 3 per cento del pil nel 2013, lo stesso livello del 2012. La spesa primaria è salita dell’1 per cento anno su anno, dopo un calo di circa un punto e mezzo sul 2010-12. Questo ha gonfiato la spesa per investimenti di circa mezzo punto di pil. “Il governo ha beneficiato del calo degli spread”, suggeriscono i tecnici di Rehn, il che ha compensato l’aumento della spesa pubblica. “Un aumento delle entrate dovrebbe controbilanciare l’aumento della spesa, anche grazie alla tassazione aggiuntiva sul settore finanziario che ha bilanciato la riduzione dell’Imu”.
Il deficit è pertanto previsto al 2,6 per cento del pil nel 2014. Il governo dice 2,5. In autunno la Commissione aveva immaginato il 2,7. Almeno questo è un segnale incoraggiante. In teoria, Renzi e Padoan possono provare a giocarsi con Bruxelles gli 0,4 punti di vantaggio sull’intoccabile soglia del 3 per cento per ”fare crescita” alla luce delle riforme attese, sebbene la questione sia più complessa di così perché la tabella di marcia richiede di migliorare l’avanzo primario e sforbiciare il debito. Aiuta che la spesa per interessi è vista stabile. L’avanzo primario dovrebbe continuare a crescere sino al 2,7 per cento del pil. Nel 2015, il disavanzo dovrebbe scendere al 2,2 per cento. Cruccio finale è il saldo strutturale (cioè il deficit al netto del ciclo e delle una tantum). A Bruxelles risulta essere stato in evoluzione positiva nel 2013. Un progresso ulteriore dello 0,6 per cento del pil è previsto nel 2014, ma dovrebbe peggiorare nel 2015, “se non si prendono misure”. Il che suona come un appello al governo perché prenda provvedimenti correttivi ed eviti uno scostamento eccessivo. Non una buona notizia per chi, proprio in questi mesi, vuole trovare risorse per correggere il disastro occupazionale. Di questo, in qualche modo, il governo Renzi sarà probabilmente costretto a parlarne con Bruxelles.
Fonte:
La Stampa