«L’Italia non vuole sfide nazionalistiche»

09/01/2009

Il caso Nazioni Unite: intervista a Frattini

Il ministro degli Esteri italiano: «A Fischer rispondo di
di lavorare con noi per il seggio europeo dell’Onu»

NEW YORK – «Non accetto una sfida basata sugli interessi nazionali. Rischierebbe di spaccare l’Europa», risponde il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini al suo collega tedesco. Josckha Fischer, nell’intervista al Corriere di ieri, ha posto in sostanza il nostro Paese di fronte a una scelta. Se non volete che Berlino chieda e ottenga un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata la tesi di Fischer, candidatevi per ottenerlo voi.

E dall’ufficio del rappresentante italiano presso l’Onu Marcello Spatafora, una stanza al ventiquattresimo piano dell’«Un Plaza», davanti al Palazzo di Vetro, Frattini ributta la palla sul campo tedesco: «Ribalto la domanda al mio amico Fischer. Perché la Germania non si ispira alla storia di Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, la storia dell’Europa di cinquant’anni fa e non si batte con noi per un seggio europeo?».
C’è anche Sergio Vento, l’ambasciatore presso gli Stati Uniti, da Spatafora. Gran parte del gruppo dirigente della Farnesina è stata a New York, in questi giorni, ad accompagnare il ministro all’Assemblea generale dell’Onu. Tutti a cercare appoggi utili a fronteggiare l’offensiva di Germania, Giappone, Brasile e India, il quartetto coalizzato per ottenere seggi permanenti che oggi in Consiglio esistono soltanto per i quattro vincitori della Seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia) e la Cina.

«Da lunedì scorso, ho avuto incontri con 45 o 46 ministri degli Esteri», ricapitola Frattini all’inizio dell’intervista con il Corriere .
Il problema principale esiste con un altro suo collega, il tedesco Fischer. In passato lei lo ha definito «ottimo». Può spiegare perché l’Italia non accetta la sua sfida a candidarsi, quella che il ministro di Berlino presenta come una «leale competizione tra Paesi amici»?
«Personalmente, sono amico di Fischer e sono convinto che anche lui pensi lo stesso. Ma L’Italia non accetta la sfida nazionale e propone alla Germania un’azione comune per il seggio europeo. Si tratta di tornare sulla linea di De Gasperi, Adenauer e, per la Francia, Robert Schuman. Non sono disposto a sfide contro la Germania. Bisogna ripartire da un’azione comune».
Quale azione?
«Nella discussione sul trattato costituzionale europeo, Fischer, come me, sosteneva la necessità di prendere a maggioranza le decisioni dell’Unione sulla politica estera. Di fronte al prevalere dei “no”, abbiamo deciso di lasciare aperta la porta a una prospettiva del genere ricorrendo all’approvazione di una “clausola passerella”. Una clausola che può permettere, in futuro, di arrivare allo stesso obiettivo senza cambiare il trattato. Aggiungere adesso nuovi seggi permanenti seppellirebbe l’idea di una partecipazione unitaria dell’Europa. Il quartetto è stato un passo falso».
Per il Consiglio di sicurezza dell’Onu l’Italia propone ulteriori seggi non permanenti. Durata più lunga dei due anni già in vigore per i posti temporanei, da assegnare con elezioni che offrano un rappresentante a ogni «area regionale» del mondo. Fischer, invece, dichiara di aver capito che se il nostro Paese voleva il seggio europeo, era a favore dell’aumento dei permanenti, per darne uno all’Unione europea. Che cosa gli risponde?
« Non ritengo di aver cambiato posizione. Forse ho specificato meglio una linea italiana che oggi, più che mai, è obbligata. Come ha detto il presidente Ciampi, “è impensabile che l’Europa non abbia una voce sola nel Consiglio di sicurezza”. Così in Italia la pensano il presidente, il governo e l’opposizione. In più…».
In più…?
«In più io ricordo il programma elettorale con il quale, in Germania, hanno chiesto i voti Spd e Verdi: c’è la richiesta di seggio europeo. Ognuno può cambiare, è ovvio. Ma mi appello alla tradizione europeista tedesca. Noi una riforma la vogliamo: all’Onu è indispensabile per eliminare gli inconvenienti che hanno portato all’unilateralismo, la lentezza e la confusione nelle decisioni. Però tutte le aree del mondo vanno rappresentate. Se Germania e Giappone ipotizzano un seggio per un Paese africano – a parte che dimenticano i Paesi arabi – perché non uno per l’Europa?».
Ministro, fu lei, il 27 agosto in Parlamento, a definire “un sogno” il seggio europeo.
«Oggi lo definirei un ideale, non un sogno».
Lei fece presente che tra i fattori che lo impedivano c’è il fatto che lo Statuto, la Carta dell’Onu, non prevedono una rappresentanza per le organizzazioni regionali.
«Ma è un ideale da raggiungere a ogni costo. I problemi, via via, vengono approfonditi. Qualcuno mi ha mosso delle giuste obiezioni, sono stati parlamentari della sinistra: quando abbiamo voluto dare all’Europa una voce unica, lo abbiamo fatto. E’ vero, abbiamo modificato lo statuto dell’Organizzazione mondiale per il Commercio, Wto. Nella Wto ora ci sono cinque seggi per ciascuna area regionale del mondo. Benissimo. Mentre si riforma, lo possiamo fare anche all’Onu».
In precedenza lei non ha giudicato «insormontabili» le questioni che Gran Bretagna e Francia solleverebbero contro un seggio dell’Ue?
«Infatti dobbiamo costruire quell’ideale sapendo che il seggio europeo non eliminerà quello per Londra e Parigi. Se rinunciamo, seppelliremo per sempre l’idea del seggio europeo».
Ministro, anche se parla di «rischio di spaccare l’Europa», l’Europa è già spaccata. Perché Francia e Gran Bretagna ci hanno lasciati, schierandosi con Germania, Giappone, Brasile e India?
«Ci sono dibattiti su questo punto, possono avere le ragioni più varie. Credo che i nostri argomenti potranno prevalere quando saremo davanti alla scelta di una spaccatura sulla riforma. Conoscendo la tradizione europeista della Francia, tra una riforma che permette la rappresentanza di tutte le aree del mondo e una riforma che non si fa, non me la vedo bloccare tutto. Il contrario sarebbe pericoloso».
Che cosa succederebbe?
«Pensi soltanto a che cosa accadrebbe se si aprisse uno scontro tra nazioni europee mentre i Parlamenti sono impegnati a ratificare il nuovo trattato, la Costituzione europea. Gli effetti sarebbero devastanti».

Maurizio Caprara