L’Europa ora torni a investire

14/08/2015

La sequenza di svalutazioni del renminbi, che ha scosso l’estate degli investitori e dei policymaker occidentali, ha motivazioni macroeconomiche e finanziarie come è stato diffusamente raccontato in questi giorni.

Inevitabili saranno anche le conseguenze sulla sfera della produzione e del commercio internazionale, anche se qui non tutto è stato forse messo ancora bene a fuoco. Si è detto, per esempio, che la svalutazione del renminbi susciterà un nuovo movimento di delocalizzazioni produttive dai paesi avanzati verso la Cina, ma su questo è lecito avanzare qualche dubbio dal momento che diverse multinazionali stavano da tempo rilocalizzando dalla Cina verso altri paesi asiatici, Vietnam in testa, dove costo del lavoro e tasso di cambio sono più bassi. Gli sviluppi cinesi indicano non tanto che si andrà verso una nuova vague di delocalizzazioni dai paesi avanzati in direzione Cina, poco favorite da una svalutazione del 5% e rese più rischiose dall’incertezza sulle traiettorie future del cambio del renminbi, ma semmai ad un riassetto nell’allocazione delle produzioni internazionali tra i diversi paesi asiatici.

Il messaggio inequivocabile che arriva è invece che la concorrenza sui mercati globali nei prossimi mesi ed anni sarà resa ancor più dura dal rallentamento della Cina, e dalla parziale retromarcia che si intravede lungo il percorso che va da una economia trainata dall’export verso un grande mercato interno sub-continentale. A questo si aggiungano le crisi profonde di alcuni mercati Brics, da Russia a Brasile. La competizione sui mercati più dinamici, in primo luogo quello nord-americano si farà ancor più intensa, e non a caso la svalutazione cinese potrebbe allontanare ancora un po’ il rialzo dei tassi d’interesse Usa se la Fed presterà attenzione ai timori dei produttori statunitensi per un apprezzamento del dollaro. La concorrenza cinese, naturalmente, si farà sentire anche in Europa dove la politica espansiva della Bce aveva nei mesi scorsi consentito alle imprese di ricostituire margini di utile più consoni ad una ripresa degli investimenti grazie all’euro debole.

Le indicazioni per l’Europa, più che mai in questa fase, sono per un impulso rilevante agli investimenti pubblici che sostengano da una parte la domanda continentale e alimentino dall’altra la produttività delle imprese private. Se l’Europa non farà la sua parte nella seconda metà del 2015 per alimentare la domanda interna e mondiale, avrà perduto una occasione epocale di mostrarsi parte decisiva del governo dell’economia globale. Tutti i consessi, gli strumenti, e le politiche disponibili vanno utilizzati al meglio per scongiurare un rallentamento della crescita in Europa, come ha scritto ieri Quadrio Curzio su queste colonne. Per il nostro Paese vi è una opportunità ed una esigenza in più, ovvero quella di utilizzare questa congiuntura per realizzare alcuni investimenti di qualità, e per rimuovere alcuni ostacoli, al fine di consolidare ed attrarre insediamenti produttivi inseriti nelle catene del valore europee e globali. Spostare progressivamente le nostre produzioni industriali, ed anche i nostri servizi, verso i segmenti “nobili” delle catene globali del valore è l’unica assicurazione solida a fronte della concorrenza dei paesi emergenti. Questo si può realizzare spingendo ancora di più sia sulle fasi di progettazione e design, da una parte, sia sulle fasi di marketing e distribuzione, dall’altra. E si può realizzare anche facilitando l’inserimento dei produttori italiani nei sistemi integrati delle multinazionali. I nostri asset principali, riconosciuti dal top management internazionale, sono lavoratori tecnicamente molto preparati nei ruoli più diversi, e imprenditori di grande esperienza ed affidabilità nei ruoli di fornitori o clienti nei diversi passaggi delle catene del valore. L’inserimento delle nostre produzioni industriali nelle fasi ad valore aggiunto alto o medio può paradossalmente trarre vantaggio anche da una svalutazione dell renminbi, se i semilavorati cinesi consentono di abbattere ulteriormente i costi delle fasi già a basso valore aggiunto. Questa integrazione è già forte al nord ed in parte del centro Italia, dove il contenuto di importazioni del nostro export è ai livelli dell’Europa centrale (Germania, Francia, Olanda). È invece debole in molte aree produttive del sud. Per favorirne il rafforzamento, investimenti pubblici mirati che riducano gli ostacoli ad attrarre o costituire nuova capacità produttiva nel Sud devono accompagnarsi ad una revisione di governance e incentivi nel settore pubblico, che in parte è in corso (riforma della dirigenza della Pa; certificazione unica per le autorizzazioni produttive; ecc.), ed in parte ancora da realizzare.

Fonte: ilSole24Ore