Le parole d’ordine del capitalismo e il ruolo delle istituzioni: la lezione di Edoardo Pollastri
10/07/2017
Assocamerestero / Huffington Post Italia
Le parole d’ordine del capitalismo e il ruolo delle istituzioni: la lezione di Edoardo Pollastri
Ogni stagione economica ha le sue parole d'ordine. Quella che segue la grande (doppia) crisi del 2008-2015 riprende le prime quattro lettere dell'alfabeto: ABCD.
A come accesso: già quasi venti anni fa Jeremy Rifkin aveva vaticinato una società in cui la proprietà dei beni diveniva più evanescente e assumeva ruolo specialmente la capacità/possibilità di utilizzare i beni (magari anche solo temporaneamente). È quanto si sta verificando oggi con i nuovi sistemi di produzione e soprattutto di consumo, che favoriscono l'utilizzo singolo o ripetuto ma in molti settori escludono la proprietà definitiva.
B come benessere, inteso nel senso molto più pieno e complesso della semplice crescita del reddito, un benessere che è sicuramente in primo luogo materiale (le cose possedute), ma soprattutto inteso come capacità di avere diritti e far valere le proprie potenzialità, come libertà non solo nel senso di fare qualcosa, ma anche di contribuire a un disegno più ampio per la realizzazione della persona, attraverso esperienze positive e di coinvolgimento creativo.
C come condivisione, ma anche come collaborazione e comunità. Un concetto che si lega a quello dell'accesso ai beni, ma che è un pezzo di un approccio allo sviluppo che implica sia partecipazione attiva allo sforzo produttivo che alla costruzione delle libertà. La condivisione è posta al centro di molte strategie anche delle imprese, lo stesso marketing nella versione che Philip Kotler definisce 4.0, fa della condivisione delle esperienze e della capacità di trasformare l'utilizzatore di un bene e servizio in un vero e proprio apostolo, il vero punto di successo di una moderna strategia di marketing.
Una strategia che lo stesso Kotler chiama delle 5 A (aware-scoperta, appeal-attrattiva, ask-ricerca-act-azione, advocate-passaparola) e il cui impatto si misura sulla base della capacità di partecipare e di diffondere il valore dell'esperienza provata da parte di chi acquista qualcosa (o accede a qualcosa).
La D sta per disuguaglianza. Gran parte del dibattito successivo, sia alla prima che alla seconda fase della grande crisi, sottolinea l'ampliamento della diseguaglianza nei redditi e nei patrimoni, la crescita dell'1% di chi sta ultra-bene a fronte dell'impoverimento (anche relativo) del restante 99% (con aumento di chi sta ultra-male). Questo continuo aumento della diseguaglianza di redditi e patrimoni – indotto dall'aumento delle rendite – si traduce poi in riduzione di possibilità di sviluppo da parte di chi si trova nei gradini più bassi e intacca fortemente sia l'obiettivo di un maggiore benessere sia quello di una più piena partecipazione ai diritti. Blocca, e spesso innesca la discesa dell'ascensore sociale.
Queste quattro parole d'ordine oggi intrecciano tutte in vario modo le possibilità offerte dalle reti: migliorare l'accesso alle reti favorisce la partecipazione, potrebbe ridurre le diseguaglianze e quindi aumentare il benessere totale (nel senso più ampio).
Ma tutto questo vale solo per le reti virtuali, per i social network sempre più pervasivi? O servono dei temperamenti e delle integrazioni? Riflettendo su di un recente volume presentato lo scorso 5 luglio all'Unioncamere, siamo portati a ritenere che l'attuale lessico del post-turbo-capitalismo trovi alimento dalle potenzialità delle reti telematiche, dalla digitalizzazione, ma che occorra ancora una volta fare uno sforzo per umanizzare le relazioni di mercato e soprattutto per far crescere relazionalità reale tra le persone, l'unica che può effettivamente ricostruire un nuovo quadro fiduciario alla base di una stagione più stabile di sviluppo.
Ecco perché accanto alle reti telematiche, a quelle corte di breve raggio:
"Occorre ricostruire, se non creare più salde reti di solidarietà e di collaborazione, reti lunghe che attraversano le nazioni, sviluppano collegamenti e alleanze tra imprenditori e istituzioni di territori diversi, per coniugare le originalità locali con le più forte tendenze globalizzanti".
Questo sosteneva Edoardo Pollastri, richiamando il ruolo di un attore sempre più necessario: le istituzioni, ossia quel sistema di regole e di relazioni sia formali che sedimentate nel tempo che – attraverso un ridisegno delle forme di partecipazione e una spinta civile più forte – divengono il catalizzatore dei processi indotti dalle nuove parole d'ordine del capitalismo.
Allora perché si renda effettivo il nesso tra accesso-benessere-condivisione e riduzione delle diseguaglianze, occorre superare lo short-terminismo che caratterizza ancora oggi larga parte delle logiche istituzionali concrete centrate sul breve termine, recuperare il valore del tempo e della durata dei processi (compresso invece dall'approccio al tempo reale del digitale) e, riprendendo quanto diceva Edoardo Pollastri, ricordarsi che:
"Serve capacità strategica e pazienza istituzionale, ascolto delle varie esigenze e tenacia nel costruire soluzioni, ma soprattutto una forte missione di servizio, perché una buona società si affida molto di più alla voce morale che non alla forza coercitiva, comunque intesa".
Questo articolo per la prima volta è stato pubblicato sul sito web di Huffington Post Italia
Fonte: http://www.assocamerestero.net/default.asp?idtema=1&idtemacat=1&page=news&action=read&idnews=731