La Grande Europa: un passaggio storico (con qualche incognita)
09/01/2009
Da Lisbona a Tallinn 455 milioni di cittadini sotto una sola bandiera. Ma ci vorrà del tempo prima che i «25» diventino un’area economica omogenea.
La Ue si allarga da quindici a venticinque Paesi. Non è ancora la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, ma ci sarà “una sola bandiera” dalle rive del Tago fino al Baltico, quella con le dodici stelle d’oro in campo azzurro. E’ un passaggio storico per il Vecchio continente, una specie di riunificazione dell’Occidente con alcuni Stati dell’ex blocco comunista (e altri ne seguiranno nei prossimi anni). Ci sono però dei problemi non risolti.
Non è ancora stata raggiunta l’intesa per approvare una Costituzione europea. Dopo il fallimento del vertice Ue di Bruxelles dello scorso dicembre, il nuovo Governo socialista in Spagna ha impresso un’accelerazione alle trattative, ma i tempi sono molto stretti per raggiungere un accordo entro la presidenza irlandese, che scade a fine giugno, proprio due settimane dopo le elezioni per il Parlamento europeo di metà mese.
Dal 1° maggio l’Esecutivo Ue avrà 10 commissari in più, uno per ogni nuovo Paese, che avranno diritto di voto, ma non saranno titolari di specifici portafogli, bensì affiancheranno gli attuali. Dal 1° novembre invece, quando terminerà il mandato della Commissione Prodi, ci sarà un Esecutivo “pieno” di 25 membri, formato da un presidente e da 24 commissari (uno per Paese).
Con il voto del 12 e 13 giugno l’Europarlamento sale invece da 626 a 732 componenti: la Germania conserva il numero maggiore di deputati europei – 99 – mentre l’Italia scende da 87 a 78.
L’Europa a quindici risale al 1995, quando agli allora dodici Paesi comunitari si unirono Austria, Finlandia e Svezia. L’Unione che nasce il 1° maggio sarà invece più spostata verso l’Est, ma anche verso il Mediterraneo.
Dopo negozati e preparativi cominciati fra il 1998 e il 2000 si uniscono infatti ai quindici Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, i tre Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) Slovenia, Malta e Cipro. Proprio di quest’isola mediterranea resta però fuori la parte turca, i cui abitanti – paradossolmente – nel referendum del 24 aprile scorso, avevano detto “sì” alla riunificazione, mentre i greco-ciprioti (la maggioranza degli elettori) l’hanno bocciata.
La corsa per riunificare tutta l’Europa, dal Baltico al Mediterraneo, non è però finita. Sono infatti in dirittura d’arrivo i trattati di adesione di Romania e Bulgaria, che salvo imprevisti dovrebbero accedere agli inizi del 2007. Discorso più lungo e anche più complesso per la Turchia, che ha già messo in cantiere riforme economiche e politiche nella speranza di ottenere – entro quest’anno – l’indicazione di una data per l’avvio del negoziato di adesione.
Ma al di là della prospettiva lontana di un ingresso nell’Unione anche della Turchia, l’allargamento a dieci nuovi Paesi, il più consistente da un punto di vista numerico nella storia dell’Unione, pone il problema di quale Europa ci aspetta dopo il 1° maggio. Un’Europa che, con 455 milioni di abitanti, diventerà la terza potenza mondiale per popolazione, dopo Cina e India, e anche un formidabile mercato. Un gigante che però al suo interno avrà una serie di disparità, prima fra tutte quelle economiche, in particolare nei confronti dei Paesi che provengono dall’ex Europa comunista.
I lavoratori e l’euro «possono attendere»
Secondo i dati della Commissione di Bruxelles la ricchezza totale dei
nuovi arrivati rappresenta solo il 4,6% di quella complessiva dell’Unione. L’Europa da Lisbona a Tallinn dovrà darsi qualche tempo per diventare effettivamente omogenea. Anche per i lavoratori restano delle barriere: i Quindici possono infatti stabilire dei vincoli alla loro mobilità per un periodo transitorio che può arrrivare fino a sette anni.
Infine, l’adesione all’euro dei nuovi Stati è spostata verso il 2010 (o nel migliore dei casi nel 2007-2008): i tre Baltici e la Slovenia il presidente della Bce dovrebbero essere i prossimi membri delll’Unione monetaria, ma ancora in marzo il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha frenato gli entusiasmi, precisando che non c’è un’agenda per l’allargamento della zona euro e che, comunque, «si deciderà caso per caso».
Nell’Unione allargatata ha dunque bisogno di nuove regole che consentano processi decisionali efficaci e al tempo stesso trasparenti. Tutti dicono di volerle, ma come dimostra l’esperienza della Conferenza intergovernativa sulla Costituzione europea, sulle regole per il futuro si gioca la vera partita fra i Paesi che non vogliono perdere status e quelli che, invece, proprio attraverso i nuovi criteri cercano di consolidare il proprio peso negoziale.
Il Sole 24Ore
30 aprile 2004