Italiani all’estero per internazionalizzare la ricerca

09/01/2009

Roma – Passa attraverso gli italiani all’estero l’internazionalizzazione della ricerca scientifica italiana. È la conclusione cui è arrivato il convegno ‘Internazionalizzazione della Ricerca Scientifica e Tecnologica italiana e gli strumenti del Ministero degli Affari Esteri’.

Tra i relatori il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca italiano Letizia Moratti e quello degli Esteri Franco Frattini. Al centro della discussione la necessità di collaborazioni. “Quella tra il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ndr) e il MAE (Ministero degli Affari Esteri, ndr) è importantissima – spiega il Ministro – perché ha supplito, finora, alla nostra principale debolezza. Non aver fatto sistema”.

Così si vogliono scandagliare le risorse che all’estero coinvolgono i connazionali: 17.000 lavori pubblicati nelle riviste scientifiche internazionali da parte dei ricercatori italiani insieme con i colleghi stranieri, soprattutto statunitensi, e catalogati annualmente nello Science Citation Index (SCI), oltre alle 760 pubblicazioni ad opera di ricercatori italiani inseriti nel circuito internazionale (quando la media europea su 1000 professionisti è di 550 uscite).

Un modo di aprirsi all’estero tenendo ferma l’eccellenza che contraddistingue, dentro e fuori dai confini, la ricerca italiana. Perché “il 4 per cento dei contributi scientifici – prosegue la Moratti – arriva dall’Italia. Un ottimo contributo allo sviluppo di nuova conoscenza mondiale” cui da oggi si aggiunge un tassello: il Piano Nazionale della Ricerca (PNR) 2004-2006 che prevede la promozione della ricerca libera e dell’alta formazione. Un rapporto stretto che intercorra tra le Università (che detengono il 50 per cento della ricerca scientifica Made in Italy) e i centri autonomi internazionali, cosicché, nelle intenzioni ministeriali, si possa mettere un freno anche alla fuga dei cervelli.

Alla cooperazione si affianca un secondo strumento di internazionalizzazione, il Distretto di Alta Tecnologia. Al momento esso si pone come mezzo di raccordo tra ministeri, atenei, enti locali e imprese che vogliano mettere insieme “le migliori risorse tra pubblico e privato”, ma si propone di diventare anche polo di attrazione per capitali stranieri. Un buon bilancio, al quale però si devono accostare alcuni punti negativi. Manca la conoscenza di quanto in Italia è in atto, non solo nel settore della ricerca e della tecnologia, ma anche in quelli del lavoro e della finanza. Servirebbero più addetti scientifici presso ogni Ambasciata, maggiore informazione e più soldi disponibili. “Nonostante questo – spiega Giuseppe Martini, addetto scientifico presso l’Ambasciata di Ottawa, in Canada – è fuor di dubbio che la ricerca scientifica possa arricchirsi attraverso gli italiani che vivono all’estero. E il database RISet ne è la dimostrazione”.

Si tratta della Rete Informativa Scienza e Tecnologia che favorisce la circolazione delle informazioni tra gli addetti scientifici delle Ambasciate, gli enti di ricerca e le associazioni industriali italiane. “Da un lato – riprende – si realizza un canale per la diffusione per la conoscenza italiana all’estero, dall’altra si possono comunicare le possibilità di rientro, e infine, si può costruire una rete di consultazione scientifica”.

Ma i diretti interessati cosa ne pensano? Per loro, oltre al RISeT c’è un altro strumento, il progetto DaVinci. Una banca dati dei ricercatori italiani operanti all’estero che, a pieno regime, potrebbe raccogliere circa 2700 professori, mentre al momento ne ha catalogati circa 817. “Una buona idea – dice Piercarlo Calderara, medico dentista da sei anni a Helsinki – ma bisogna vedere come verrà portato avanti. La mia ultima attività di ricerca risale a un anno fa e l’ho svolta in Italia, ma anche qui, i connazionali dimostrano interesse per il loro Paese d’origine, vorrebbero contribuire alla sua crescita scientifica”.

“Condivido – si affianca dalla Norvegia Lucia Ballerini, membro del Consiglio d’Amministrazione ADI, Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani – che il problema, per il DaVinci e il database, sia il metodo. Ma intravedo un rischio, che l’Italia sfrutti le nostre capacità, certa del fatto che le risorse escano da un paese straniero”. “Oppure – fa eco il dentista – che dalle Università italiane siano i classici baroni a prendersi il merito di lavori svolti dai nostri colleghi fuori dallo Stivale”.

Quello che sembra certo, però, è che “sono gli stessi studiosi – dice Martini – a offrire la loro partecipazione e a dirsi disponibili per una collaborazione. Se gli strumenti messi a disposizione dei Ministeri non sono gli unici possibili, è pur vero che danno all’internazionalizzazione un contributo fondamentale” . Da parte del Ministro degli Affari Esteri il sostegno è stato ufficializzato nel convegno, quando ha detto che il progetto “è al servizio dell’azione di promozione della ricerca scientifica e tecnologica italiana” precisando che i protagonisti sono i singoli e non “gli enti di ricerca, università, imprese, o il MAE”.

In fondo, ha poi precisato Frattini, “la politica estera di un Paese si articola attraverso linee guida che non sono solo quelle della tradizionale diplomazia”. Per i cervelli che dall’Italia cercano occasioni all’estero “dato che le possibilità qui sono maggiori” – spiega Calderara. Massimo Egidi, della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), fa notare che stanno arrivando in Italia e in Europa bravi studenti dai Paesi dell’Est europeo e dalla Russia. Ecco quindi, che alla cooperazione si deve affiancare anche la competizione, per far fronte alla mobilità globalizzata, poiché “non esiste un piano Marshall della ricerca, ciascuno deve contribuire con le proprie forze”, chiosa Carlo Rubbia, direttore ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente).

La competizione richiama a sé un soggetto in particolare: l’industria. È Paolo Annunziato di Confindustria a intervenire sulla necessità della ricerca dicendo: “E’ fondamentale per le imprese italiane essere sempre aggiornate, non solo sui prodotti, ma anche sulle tecnologie emergenti” sebbene sia un buon inizio “RISeT copre solo una piccola parte degli addetti scientifici, rimane una fortissima eterogeneità tra le informazioni raccolte”.

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