In Brasile l’Eldorado del made in Italy

19/09/2011

Gli esperti di Kpmg non hanno dubbi: per i prossimi quattro o cinque anni le imprese italiane devono guardare al Brasile come al più interessante tra tutti i Paesi emergenti.

Più attraente anche della Cina. La ragione? «È la spendibilità del made in Italy – spiega Roberto Giovannini, partner Kpmg – dal design al cibo, passando per la moda. In nessun altra parte del mondo è così apprezzato come in Brasile. La somiglianza di gusti è notevole, i supermercati brasiliani sono pieni di prodotti italiani a prezzi folli, e non c'è nessun bisogno di riposizionare l'offerta. In Cina, per intenderci, la pizza per antonomasia è quella americana di Pizza Hut, e gli spaghetti sono quelli di riso. In Brasile non c'è possibilità di malinteso».

Grandi chance per l'impresa italiana, dunque, nel Paese più in corsa di tutta l'America Latina: per i prossimi quattro anni il suo Pil crescerà sopra il 4%, è la settima economia mondiale, le fluttuazioni del tasso di cambio del real e l'inflazione sono sotto controllo da oltre dieci anni. Soltanto fra Mondiali di calcio 2014 e Olimpiadi 2016, Brasilia spenderà qualcosa come 28 miliardi di euro. Mentre per le infrastrutture del Paese gli investimenti in campo ammontano a 1.100 miliardi di reais, peraltro pari solo a un terzo del totale necessario da qui al 2022.

Per sostenere lo sbarco massiccio del made in Italy sulle coste meridionali dell'Atlantico il nostro ministero degli Affari esteri ha progettato un fitto programma di eventi che si svolgeranno in Brasile e che spaziano dall'economia alla tecnologia, dalla cultura alla scienza, con l'obiettivo di rafforzare le partnership tra i due Paesi. "Momento Italia-Brasil", questo il nome della kermesse, verrà ufficialmente inaugurato il 15 di ottobre a Rio de Janeiro e prevede circa 500 manifestazioni, che si concluderanno a luglio dell'anno prossimo. A partire dal 5 ottobre Roma ospiterà invece due importanti eventi anticipatori: la quinta edizione della Conferenza Italia-America Latina, e la missione di 150 Ceo di imprese brasiliane organizzata dalla Lide insieme a Confindustria.

Proprio per conto della Farmesina Kpmg ha effettuato un monitoraggio accurato non solo della presenza italiana in Brasile, ma anche dei cosiddetti "assenti ingiustificati": imprese, cioè, che avrebbero tutto da guadagnare da uno sbarco massiccio nel Paese e ancora non lo hanno fatto (l'e-book con tutti i risultati verrà presentato durante l'appuntamento romano). A oggi si contano quasi 600 aziende italiane, di cui circa un terzo sono veri e propri impianti produttivi e circa 220 sono filiali commerciali. Più della metà si concentrano nella zona di San Paolo, il cuore economico del Paese, e sempre la metà ha a che fare con il settore della meccanica. Le Pmi sono 450, una buona fetta del totale.
Dal punto di vista dei settori, l'Italia occupa una posizione di leadership nel campo alimentare – un comparto che cresce del 3,7% all'anno -, in quello dei materiali da rivestimento (qui la crescita annua è del 5,5%), nel tessile e nella nautica.

Per Giovannini, di Kpmg, gli italiani dovrebbero però essere molti di più. Chi dunque ci deve andare? Tutto il made in Italy più classico, si è detto. «Chi fa elettrodomestici no, per esempio – spiega – perché un marchio italiano non ha nessun vantaggio competitivo su Bosch o su Whirpool, e in più non gode nemmeno di un forte supporto da parte del Sistema Paese». Altri sono i Governi che fanno vera pressing in Brasile: se si ha a che fare con marchi che alle spalle hanno gli Stati Uniti o il Messico, ad esempio, bisogna valutare bene l'opportunità di uno sbarco. Ci troveremmo di fronte a competitor troppo forti e aggressivi.

Il secondo fattore – di non poco conto – da tenere presente sono tasse e dazi. Il Brasile è noto per la complessità del sistema fiscale: ci sono imposte federali, statali e municipali, e le regole variano da un posto a un altro. Ma sono i dazi la vera croce degli imprenditori stranieri: «In Brasile la capacità di consumo aumenta spaventosamente di giorno in giorno – spiega Giovannini – il Governo lo sa, ed è per questo tenta di favorire la crescita delle imprese nazionali proteggendole dalla concorrenza estera. In media, i dazi fanno raddoppiare il prezzo di una merce così come arriva ai confini brasiliani». Ecco perché lo sbarco in Brasile si addice solo a due categorie di imprese: «Quelle che possono permettersi, accanto al prodotto di punta di fascia alta, una seconda linea dal prezzo più contenuto ma pur sempre con l'appeal del marchio made in Italy.

E in secondo luogo, quelle che vanno a produrre direttamente in Brasile».
La chiave, insomma, è quella dell'investimento produttivo: solo così si può aggredire questo mercato da 200 milioni di persone e dal portafoglio in crescita. Si può ricorrere a un'acquisizione, anche, o a una partnership con una società locale. Per chi invece vuole investire del suo al 100%, forse è opportuno guardare lontano da Rio e da San Paolo: «Lungo la costa – spiega Giovannini – ci sono molti stati che si stanno rendendo competitivi a colpi di incentivi finanziari e fiscali. Di solito, ogni stato li riserva solo ad alcuni settori: la Bahia, per esempio, offre condizioni vantaggiose per l'auto, per la trasformazione della plastica e per la metallurgia. Tra gli stati più aggressivi segnalerei Santa Catarina, Parà, Maranhão». Essere qui, o essere a San Paolo, non fa molta differenza: la costa del Brasile è tutta ben collegata.

 

Fonte:
Il Sole 24 Ore