Il vento dell’export dà la spinta ai cantieri il fatturato si muove
29/09/2015
IL CUORE MANIFATTURIERO DELL’ECONOMIA BLU HA FATTO REGISTRARE UN +2,1% DI RICAVI L’ANNO SCORSO. LE VENDITE ALL’ESTERO HANNO BATTUTO IL RECORD DEL 2013: 1.965 MILIONI. PURE IL MERCATO INTERNO RISALE “ORA RIPORTIAMO IN ITALIA I DIPORTISTI FATTI FUGGIRE” Vito de Ceglia Milano L a grande novità per l’industria nautica italiana? E’ certamente la ripresa del settore. Dopo anni difficili, con un mercato interno quasi scomparso, il cuore manifatturiero dell’economia blu del nostro Paese ha finalmente ripreso a crescere: il fatturato 2014 ha, infatti, riportato un incremento del +2,1% rispetto all’anno precedente attestandosi intorno ai 2,5 miliardi di euro. L’inversione di tendenza dipende in buona parte dalle esportazioni delle unità da diporto che hanno superato addirittura i valori record dell’anno precedente con una crescita del valore passata da 1.429 a 1.965 milioni di euro.
Sulla sola produzione di imbarcazioni e yacht con motore entrobordo, il nostro Paese assorbe più del 30% della domanda internazionale. In questo senso, un’ulteriore conferma del rilancio del settore arriva dai dati relativi alla cantieristica, che ha riportato lo scorso anno un incremento produttivo del +1,9% rispetto al 2013. Nel contempo, si iniziano ad intravedere lievi ma importanti segnali di ripresa anche nel mercato interno. Segnali certificati in primis da un aumento del leasing del +15,4% sul 2013 e del +30% sul 1° trimestre 2015 (Fonte: Assilea). Per inciso: nei primi 90 giorni di quest’anno sono raddoppiate sia il numero delle nuove stipule, sia il valore delle somme erogate rispetto allo stesso periodo del 2014 (che per le unità nuove vale circa il 15% di crescita sull’equivalente periodo del 2014).
Da segnalare inoltre che, nel periodo gennaio-marzo, è cresciuto in modo significativo il numero di leasing su unità usate, che hanno superato il 50% del totale dei nuovi contratti, dovuto allo smaltimento dello stock rinveniente da contratti incagliati, accumulato negli anni della crisi. Numeri positivi, quelli del leasing, che si aggiungono all’ottima performance registrata dal comparto degli accessori con un +3,1% sul 2013 e al recupero dei livelli occupazionali con un + 1%. In particolare, il numero di addetti effettivi dell’industria nautica si attesta oggi a 17.590, di cui la metà impiegati nella produzione di unità da diporto, il 32% (pari a 5.690 addetti) in quella di accessori e componenti, il 14% (2.470 addetti) nel refitting, riparazione e rimessaggio e il 4% (630 addetti) nella realizzazione e commercializzazione di motori. A compendio, il contributo del valore della produzione nautica al Pil l’anno scorso ha segnato un incremento di 2 punti percentuali, contribuendo per oltre il 4% al surplus complessivamente generato dall’economia nazionale.
Guardando il bicchiere mezzo pieno, i numeri della nautica da diporto sono quindi confortanti. Numeri che consentono alle aziende del comparto di presentarsi alla 55esima edizione del Salone nautico di Genova (30 settembre-5 ottobre), la più importante kermesse italiana dedicata all’industria di settore, con un pizzico di ottimismo in più. Anche se, per il momento, i risultati positivi continuano a dipendere quasi interamente dall’export. La destinazione principale delle esportazioni è rappresentata dall’Ue (42%), in aumento rispetto al 2013 in termini di apporto sul totale dell’export. Numeri trainati dalla ripresa delle vendite verso la Francia (principale partner commerciale con il 29% dell’import e il 53% dell’export sul totale degli scambi con i paesi Ue), la Spagna e il Regno Unito. Per quanto riguarda i mercati esteri però, si continua a registrare una frammentazione molto marcata. Gli Usa già nel 2013 avevano dato segnali di ripresa che sono pienamente confermati. Ciò compensa in parte il rallentamento di Cina, Brasile e Russia, tutti in frenata, sia pure per ragioni diverse.
Prendendo in esame l’analisi dell’Osservatorio nautico nazionale emergono però anche le note dolenti. E non sono poche considerato che il settore è stato ostaggio negli ultimi anni di politiche dissennate che hanno costretto circa 40mila diportisti a fuggire dai porti italiani nel periodo 2011-2013: per intenderci, quello successivo all’entrata in vigore della tassa di stazionamento introdotta dall’allora governo Monti e dal giugno del 2013 attenuata per le imbarcazioni fino ai 14 metri di lunghezza. Questi dati sono stati presentati, per la prima volta, il 18 settembre alla Camera dei deputati in occasione del convegno “Turismo nautico ricchezza del Paese” organizzato dal gruppo Pd di Montecitorio. Secondo l’Osservatorio, «se questi diportisti tornassero nei porti italiani porterebbero 11.667 posti di lavoro in più e spenderebbero in totale (per la barca e in spese che ricadono positivamente sul territorio) 488 milioni di euro». In lieve miglioramento anche i dati sui porti dal 2014, «i posti barca utilizzati sono in aumento dell’1,9%%» . In questo senso, un aiuto è arrivato grazie negli ultimi mesi dalla positiva riduzione dell’Iva al 10% per i posti barca dedicati al transito.
Ma a dicembre scade il decreto e, per attrarre nuovi diportisti, bisogna che questo provvedimento diventi una legge stabile. Perché in gioco — secondo la ricerca dell’Osservatorio — «ci sono alcuni valori economici, spesso sottovalutati». In sintesi: per ogni 3,8 barche si crea un posto di lavoro; per ogni addetto alla costruzione si creano 6,5 posti di lavoro nell’indotto. I diportisti sono tra i “turisti” più interessanti per spesa giornaliera distribuita sul territorio, che arriva a superare i cento euro pro capite al giorno. Il contributo al Pil del turismo nautico è di 1,5 miliardi, che «purtroppo non sono distribuiti in maniera uniforme sulle nostre coste». Ma il numero che ha fatto più impressione è quello sui controlli in mare: «I diportisti sono controllati in media una volta ogni 180 giorni mentre gli automobilisti lo sono ogni 5.400». L’Italia può vantare il 21,7% delle esportazioni totali della nautica mondiale, ovvero più di una barca ogni cinque è Made in Italy. Tengono il passo della produzione del Belpaese, ma seguendo ad una certa distanza, gli Stati Uniti e la Germania, mentre sotto di un altro gradino si trovano il Regno Unito e la Francia
Fonte: Repubblica.it