Il Brasile punta l’Africa. L’export come strumento di soft power

25/09/2012

Retorica della riparazione coloniale e relazioni strategiche. Sono questi gli elementi che l’ex presidente Lula da Silva ha utilizzato per rafforzare l’asse dei rapporti Brasile-Africa. Le azioni politiche di Lula avevano l’obiettivo di costruire una rete di relazioni commerciali e diplomatiche con alcuni paesi africani – per la maggior parte lusofoni.

Già all’epoca, la politica inaugurata dall’ex presidente suggeriva una più ampia interpretazione relativa al commercio e alla diplomazia brasiliana che dovevano servire da grimaldello per accrescere il peso del gigante latinoamericano a livello globale. In questo senso la politica estera di Lula ha tracciato un solco nel quale si è inserito anche il Brasile di Dilma Rousseff.

Con lo scoppio della crisi, di fronte al rallentamento della domanda sui mercati di riferimento (Stati Uniti e Unione Europea), le esportazioni brasiliane si sono orientate verso nuovi paesi. Dal 2002 al 2008, l’ export brasiliano verso l’Africa è cresciuto in maniera significativa – il 4,2% a fronte di un import pari al 6,2% – diventando una tendenza in via di consolidamento. La bilancia commerciale tra Brasile e Africa mostra un cambio di marcia focalizzato verso alcuni paesi del continente africano come Angola, Sud Africa ed Egitto, destinatari soprattutto di macchine e tecnologie per la produzione di etanolo.

Contemporaneamente sono cresciuti gli investimenti diretti brasiliani in paesi come Kenya, Mozambico e Angola veicolati dalla BNDES, la Banca Brasiliana di Sviluppo. Dal 2007 ad oggi, la BNDES ha finanziato 29 progetti di sviluppo per un totale di circa 742 milioni di dollari e ha aperto linee di credito dirette con i governi africani (il maggior beneficiario è l’Angola con 1,75 miliardi di dollari).

I settori strategici africani entrati nel mirino del gigante latinoamericano sono soprattutto quello energetico, minerario, petrolifero e i grandi progetti infrastrutturali nei quali il gigante Odebrecht – per il quale il solo mercato africano vale oltre il 10% dell’intero fatturato – la fa da padrone. Petrobas, l’importante compagnia petrolifera di Stato, ha ampliato dal 2009 ad oggi il suo giro di affari in Tanzania, Nigeria, Guinea Equatoriale, Senegal e Libia, paesi con i quali ha siglato contratti di esplorazione del suolo. La compagnia mineraria Vale, invece, è attiva in sette paesi africani per un investimento totale di circa 2,5 miliardi di dollari orientati soprattutto al settore minerario industriale.

Gli investimenti brasiliani nel continente africano sono diretti anche a favorire uno sviluppo strategico industriale dell’etanolo per i cosiddetti biofuels, di cui il Brasile è il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Un recente studio della Fondazione Getulio Vargas ha evidenziato che sono soprattutto Angola e Mozambico a presentare condizioni favorevoli per la produzione di etanolo a costi contenuti. Non è un caso che verso questi due paesi sia diretto il maggior flusso di denaro, know how, macchinari e conoscenze tecniche per lo sviluppo di questa produzione su suolo africano.

Negli ultimi due anni, anche grazie alla rete di ambasciate attive in Africa – passate da 18 a 30 durante il governo Lula –, sono aumentate le imprese sudamericane che investono sul continente attuando una strategia di penetrazione commerciale con il sostegno operativo dello Stato. Non è un caso che sei delle più grandi multinazionali brasiliane sono presenti anche da queste parti. Il Brasile è inoltre riuscito a garantirsi un ruolo importante in molti paesi africani anche grazie ad una sapiente pianificazione della cooperazione allo sviluppo. Gli aiuti diretti a progetti di sviluppo, che per l’Africa ammonta ad oltre il 60% di tutti i fondi erogati dallo Stato brasiliano, hanno fatto da leva per la penetrazione commerciale nel continente.

La strategia di posizionamento adottata dal gigante sudamericano in Africa risponde in sostanza a due esigenze principali. La prima è legata al nuovo ruolo che il Brasile vuole ricoprire a livello internazionale, in uno scenario sempre più mutevole e multipolare, caratterizzato da un vuoto di leadership e dal peso crescente dei BRICS. Il paese, che ora rappresenta la sesta economia mondiale con un forte ascendente regionale, è alla ricerca di una consacrazione diplomatica sul piano internazionale.

Il Brasile ha scelto quindi la strada della cooperazione sud-sud orientata allo sviluppo di relazioni commerciali, politiche, economiche e diplomatiche con Russia, Cina (primo partner commerciale del paese), paesi arabi e Africa. Questo consentirebbe a Brasilia di garantirsi un mercato alternativo in caso di ulteriore rallentamento dell’economia mondiale. Considerando che la crescita economica riguarda i BRICS e alcuni paesi africani, la strategia brasiliana potrebbe poi mostrare notevoli vantaggi già nel breve periodo.

Da questo punto di vista, l’attivismo brasiliano si scontra con l’espansionismo commerciale. Le differenze tra i due modelli sono però sostanziali. Mentre i cinesi sono fortemente orientati all’approvvigionamento di commodities, lo spettro degli interessi brasiliani è rivolto a diversi settori e si affida a una fitta rete di relazioni politiche, culturali e diplomatiche. Orientata maggiormente all’esportazione di capitali, mezzi di produzione e know how, la strategia commerciale brasiliana nasce dalla necessità di garantire mercato alle proprie esportazioni e soddisfare una domanda in continua crescita. Questo spiega la recente politica del Brasile in Africa, potenziale mercato in espansione oltre che territorio ricco di materie prime.

C’è poi una variabile interna da considerare. L’obiettivo di Brasilia è quello di sostenere lo sviluppo delle aziende nazionali, creare posti di lavoro e garantire la crescita dell’economia del paese. Questo spiega perché, per fare ciò, il Brasile veleggia verso un continente ancora ‘vergine’ al quale può accedere attraverso vecchi legami storici e culturali.

 

Fonte:
Meridiani Relazioni Internazionali