I prodotti made in Italy crollano in Germania
09/01/2009
I tedeschi preferiscono i fornitori asiatici
MILANO – È la Germania la spina nel fianco dell’export italiano. Da soli, infatti, i tedeschi hanno fatto evaporare metà dell’attivo dei nostri conti con l’estero. Negli ultimi otto anni il made in Italy è stato capace di mangiarsi un attivo di 36 miliardi di euro.
In che modo? La bilancia commerciale ha cominciato a franare dopo il picco del 1996. Il bilancio è andato in rosso nel 2004 (1,5 miliardi) dopo dodici anni. E per il 2005 c’è il rischio di vedere un quadruplicamento del passivo che potrebbe arrivare a sei miliardi di euro (si veda «Il Sole-24 ore» di ieri). Quali i motivi che hanno capovolto la situazione arrivando al deficit del made in Italy? Come è stato possibile giocarsi l’attivo?
Alla sbarra troviamo, in primo luogo, il voltafaccia dei tedeschi seguito dal crescere del buco commerciale verso la Cina e dall’appesantimento della bolletta energetica causato dall’impennata del prezzo del greggio. Questo tris di concause ha infatti bruciato da solo la ragguardevole cifra di oltre 32 miliardi di euro, cioè quasi i nove decimi del peggioramento del nostro surplus.
Vediamo un po’ di numeri. A partire dal 1993 il saldo della bilancia commerciale italiana è risultato positivo per ben 11 anni di fila. Il record è stato toccato nel 1996, con 35 miliardi di euro. Un risultato da podio: in quell’anno, infatti, l’Italia fu il terzo Paese al mondo, dopo Germania e Giappone, per surplus commerciale. Da allora, in otto anni, abbiamo perso per strada 36,5 miliardi. Ai 35 miliardi del ’96 dobbiamo sommare il deficit di 1,5 miliardi del 2004.
Il voltafaccia di Berlino. Il saldo dell’Italia con la Germania era attivo nel 1996 per 4,4 miliardi di euro. Adesso i tedeschi comprano meno, anche perché i grandi gruppi d’acquisto preferiscono i fornitori dell’Est Europa. E così il surplus si è progressivamente trasformato in un enorme passivo: oltre 12,5 miliardi nel 2004, con un peggioramento complessivo per l’Italia di quasi 17 miliardi di euro. I tedeschi, appesantiti da una crisi economica aggravata da ristrutturazioni aziendali e dalle delocalizzazioni che hanno portato il livello dei disoccupati a superare in gennaio il tetto dei cinque milioni, acquistano sempre meno made in Italy sostituendolo spesso con prodotti a buon mercato provenienti dall’Asia. Al contrario, gli italiani hanno importato in misura crescente negli ultimi anni chimica, telefonia, elettronica di consumo e auto di lusso provenienti dalla Germania, come evidenzia un dossier della Fondazione Edison.
La voragine cinese. Tra il 1996 e il 2004 si è registrato uno straordinario aggravamento del passivo dell’Italia verso la Cina. Il deficit è infatti passato dai 930 milioni di euro del 1996 alla cifra record di 7,4 miliardi di euro del 2004 (che quest’anno potrebbe addirittura arrivare a nove), con un peggioramento per l’Italia di oltre 6,4 miliardi. «A dispetto di un certo ottimismo sulle opportunità di crescita delle nostre vendite in Cina, c’è da rilevare che nell’ultimo trimestre 2004 l’export italiano verso Pechino è cresciuto solo del 5% rispetto al quarto trimestre 2003, mentre l’import si è incrementato del 29%; nei primi tre mesi dell’anno la tendenza è proseguita, essendo l’export verso Pechino cresciuto solo del 7% a fronte di uno sviluppo dell’import cinese del 25%», come sottolinea Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison che sta terminando un approfondito rapporto su questo tema bollente.
La bolletta energetica. Ecco un altro punto dolente per l’Italia. In seguito ai forti rialzi dei prezzi del petrolio e del gas naturale il passivo dell’Italia verso i Paesi Opec (più Russia) è cresciuto dai quattro miliardi di euro del 1996 ai 12,9 miliardi di euro del 2004, con un peggioramento complessivo di 8,9 miliardi di euro, destinato purtroppo ad aggravarsi quest’anno.
Il Sole 24 Ore
FRANCO VERGNANO
Mercoledí 27 Aprile 2005