I dieci fatti economici più importanti del 2011
02/01/2012
Ci sono episodi che hanno caratterizato l'anno economico 2011 pur non avendo sempre conquistato le prime pagine dei giornali? Forse sì perché a distanza di 365 giorni, fatti che al momento non sembravano importanti si sono rivelati decisivi per gli equilibri finanziari mondiali, mentre altri che apparivano straordinari si sono con il tempo sgonfiati e diventati insignificanti. Proviamo a delineare con il distacco di un anno alle spalle i dieci fatti che hanno caratterizzato il mondo sotto il profilo economico nel 2011.
1) L'aumento dei prezzi alimentari. Il 6 gennaio 2011 dopo il balzo del petrolio, che viaggiava spedito verso i 100 dollari al barile, arriva l'allarme prezzi dei prodotti alimentari che a dicembre 2010, secondo la Fao, hanno toccato il record a livello globale, sorpassando i picchi raggiunti durante la crisi del 2008. Un'accoppiata di rialzi davvero diabolica che fà deragliare la fragile ripresa economica in atto e fà da detonatore alle proteste sociali nei paesi arabi. Abdolreza Abbassian, capo economista alla Fao, lancia l'allarme. «Sarebbe da pazzi – dice – affermare che abbiamo raggiunto il picco massimo dei rialzi».
Di fronte a questo scenario inquientante il rischio è che per molti paesi in via di sviluppo si ripetano le rivolte sociali represse nel sangue per l'aumento dei prezzi del cibo come avvenne nel 2008 in Bangladesh e Haiti. Poi scoppiano in Tunisia le proteste della "baguette" per l'aumento del pane che il 29 dicembre 2010 provocano due morti. È solo l'inizio della Primavera o per meglio dire del risveglio arabo che nasce da un profondo e diffuso malcontento economico verso quei politici autoritari che considerano il paese (Tunisia, Libia, Egitto) come un loro personale bene da disporre a piacimento.
2) Il Brasile supera la Gran Bretagna. La notizia diffusa il 27 dicembre 2011 dal Centre for Economics and Business Research (CEBR), fa del Brasile la sesta maggior economia al mondo, superando la Gran Bretagna di David Cameron alle prese con una difficile situazione economica.
È solo una conferma: a fine ottobre sulla base dei dati dell'Fmi, i giornali brasiliani avevano già dato a titoli cubitali la notizia che a fine 2011 il pil del Brasile avrebbe toccato i 2,44 mila miliardi di dollari sorpassando i 2,41 mila miliardi della Gran Bretagna e issandosi al sesto posto nel ranking mondiale. Certo sempre poco rispeto ai 14mila miliardi di dollari del Pil degli Stati Uniti. Nel 2010 il Brasile era salito al settimo posto superando l'Italia che non cresce da dieci anni a causa di una mancanza di una vera politica industriale che ha trasformato il paese in un luogo di conquiste economiche dei francesi nei settori del lusso, bancario, trasporti, alimentare ed energia.
Stando alle stime dell'Economist Intelligence Unit, nel 2020 il pil brasiliano supererà quello di qualsiasi altro paese europeo, davanti alla Germania (quest'anno quarta) e alla Francia (quinta) condannate a essere superate da altri due Brics, Russia e India, col Brasile sempre al sesto posto, e condannate a precipitare in basso (Germania settima, Gran Bretagna ottava, Francia nona e Italia decima). Il podio sia ora sia nel 2020 sarà appannaggio ancora di Usa, Cina e Giappone. Il dato pone i BRICS sempre più in auge.
3) Gli Usa perdono la tripla A. Un mossa molto controversa è stata quella operata a freddo contro gli Stati Uniti. Quando il 5 agosto S&P's ha declassato il debito statunitense dalla tripla A a AA+, con affemazioni politicamente molto orientate alle critiche del Tea Party, i mercati hanno reagito in modo del tutto opposto facendo abbassare i tassi dei Tresury bills invece che farli balzare come ci si sarebbe aspettato. Uno smacco senza precedenti per una società di rating che nei fatti ha costretto alle dimissioni l'ex presidente di S&P's Sharma.
Ma le critiche più serrate, oltre a quelle gauchiste di essere troppe vicine ai desiderata del Tesoro statunitense nel corso delle varie crisi (la Tequila crisis del 1994 o l'asiatica del 1997 o quella dei PIGS 2009), sono arrivate dopo alcuni incidenti proprio sul mercato che hanno incrinato la credibilità delle società di rating.
Le accuse più dure sono arrivate nell'incapacità di avvertire per tempo i disastri globali legati alla bolla immobiliare Usa, dando voti di tutto rispetto ai famosi pacchetti finanziari in cui erano insaccati i mutui subprime e derivati vari, ma anche alla banca d'investimento Lehman Brothers, al top dei voti fino a poco prima che fallisse clamorosamente domenica 15 settembre 2008. Tutti infortuni che hanno contribuito a innescare, invece di evitare, la grande recessione del 2008 che è costata finora ben 7.700 miliardi di dollari di finanziamenti della Federal Reserve allo 0,1% di interesse alle grandi banche americane, secondo quanto ricostruito da Bloomberg. Altro che programma Tarp da appena 700 miliardi di dollari!
4) Le cifre degli aiuti alle banche Usa. Ora finalmente si è scoperto la vera cifra del salvataggio grazie alla ricerca fatta dall'agenzia di stampa americana Bloomberg che ha scoperto dopo un paziente lavoro di investigazione preziose carte della Fed che dimostrano il conto totale per salvare le banche americane "too big to fail", troppo grandi per fallire e che rischia di diventare il tema portante della prossima campagna elettorale per le presidenziali americane del 2012 con un presidente Obama messo all'angolo dai liberal del partito democratico per troppa cautela nel riformare il sistema finanziario, rimasto praticamente quello di prima, senza ancoraggio monetario né di regole rooseveltiane risalenti al New Deal.
Fonte:
Il Sole 24 Ore