Follini sbatte la porta, fuori anche il Psi
09/01/2009
Ritirare i ministri dal governo Berlusconi è per l’Udc un tentativo di tirarsi fuori dall’esecutivo nella convinzione che in caso di vittoria alle prossime politiche, potrà dirsene l’artefice e avocarsene i meriti. In caso di sconfitta gli sarà più facile dissociare le responsabilità. Ma quello del segretario centrista è un calcolo rischioso
Marco Follini ha tenuto il punto e questa mattina ha proposto alla direzione dell’Udc il ritiro della delegazione dal governo (5 ministri, un viceministro, 4 sottosegretari), garantendo però alla maggioranza l’appoggio esterno in Parlamento.
La linea del segretario è stata oggetto di dibattito, ma Rocco Buttiglione, ministro delle Politiche comunitarie e esponente dell’ala morbida, ha annunciato che la direzione l’ha approvata: cosa che è avvenuta con 57 sì e un solo no, quello di Carlo Giovanardi, ministro dei Rapporti con il Parlamento.
Sulla carta, ritirandosi dal governo ma garantendo a Silvio Berlusconi l’appoggio parlamentare (tanto più nel caso di voto di fiducia, che è palese), Follini e i suoi non dovrebbero provocare la caduta dell’esecutivo.
Alla Camera l’Udc ha 34 deputati, dunque non è neppure determinante per la maggioranza. Discorso diverso al Senato, dove i 31 esponenti centristi potrebbero paralizzare il governo Berlusconi in caso di voti occulti contrari.
Cifre che tutti conoscono benissimo, ben note anche al Quirinale, ed è dunque probabile che la mossa di Follini ala fine indurrà il premier a formalizzare la crisi, puntando ad un Berlusconi-bis. Ciò che il Cavaliere non voleva per due motivi: d’immagine, ma soprattutto perché tutte le crisi, per quanto pilotate possano essere, sottopongono il capo del governo a pressioni e ricatti che rischiano anche di sfociare in una rinuncia. Bene che vada, il premier ne uscirebbe comunque indebolito.
L’intenzione di Berlusconi era di andare avanti senza l’Udc, e senza neppure passare per la crisi. Insomma, di sottoporre al massimo al voto di fiducia il programma di fine legislatura (come chiesto da Gianfranco Fini), e rimpiazzare i ministri dimissionari. Tra l’altro essi sono tutti senza portafoglio, quindi teoricamente potrebbero non essere neppure sostituiti. Mentre quanto ai voti mancanti, Berlusconi è convinto di poterli arruolare tra gli Udc dissidenti.
Ma è difficile che Carlo Azeglio Ciampi, e gli stessi alleati (An soprattutto) a questo punto glielo concedano. Tra l’altro, su scala ridotta, la stessa decisione è stata presa dal Nuovo Psi di Gianni De Michelis forte di alcuni viceministri e sottosegretari.
Ma perché Follini ha deciso di cavalcare la linea dura, anziché giocare le chance proprie e del partito nell’azione di governo dell’ultimo anno, magari cercando di condizionare le scelte di Berlusconi? È chiaramente un tentativo di tirarsi fuori nella convinzione che esso paghi elettoralmente. In caso di vittoria del centrodestra, potrà rivendicare di aver impresso una svolta vera alla maggioranza. In caso di sconfitta sarà più facile dissociare le responsabilità.
Un calcolo ovviamente rischioso. Alle prossime elezioni, anticipate o meno, l’Udc non potrà contare sul sostegno degli alleati. Cosa quest’ultima che aveva invece dato i suoi frutti nel 2001, quando nel maggioritario i centristi riuscirono ad eleggere una buona pattuglia di parlamentari pur non avendo raggiunto nel proporzionale il quorum del quattro per cento.
Ma Marco Follini si è evidentemente convinto che il ruolo di bastian contrario nella maggioranza paghi. Alle ultime Regionali l’Udc, pur avendo perduto numerose posizioni di potere, in termini di voti ha raggiunto il 5,7 per cento su scala nazionale. Un piccolo patrimonio che il segretario vuole evidentemente mettere al riparo nella presunzione di poterlo spendere sia con un Berlusconi rieletto, sia anche con un centrosinistra alle prese con Fausto Bertinotti.
Non per nulla si sono moltiplicati i contatti tra Udc e Margherita. È insomma il cosiddetto scenario del dopo Berlusconi, visto ovviamente come il fumo negli occhi dal premier ma anche da Romano Prodi, che teme anche lui il ricambio generazionale e punta alla vittoria con la «grande sinistra» riunita nell’Unione.
E c’è chi sospetta che dietro Follini vi sia in realtà la regia più abile di Pier Ferdinando Casini, il presidente della Camera che finora ha tenuto se stesso e la propria immagine fuori dai giochi. Altri ritengono che, oltre a ciò, Follini sia caduto prigioniero dei duri dell’Udc, in particolare Bruno Tabacci e Luca Volonté. Al tempo della Prima repubblica quella di Follini veniva definita politica «dei due forni». Molti anni sono passati, ma certe tradizioni no.
Anche perché occorrerà valutare il comportamento in questi mesi dei veri «signori delle tessere» dell’Udc: Mario Baccini, leader del partito nel Lazio, e Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, che lo controllano in Sicilia.
Sono loro che garantiscono i maggiori serbatoi di voti (in Sicilia addirittura il 14 per cento). E qui, come si vede, siamo un po’ distanti dal voto di opinione.
Panorama.it
15/4/2005