Firenze 4/11/66: quando gli angeli scesero nel fango

09/01/2009

È il primo pomeriggio del 3 novembre 1966 quando, dopo alcuni giorni di piogge intense e ininterrotte, l’Arno inizia la sua corsa devastante verso Firenze; in quelle ore nessuno si rende conto del dramma che la città sta per subire mentre, per una strana coincidenza, al cinema-teatro Verdi si proietta il film «La Bibbia» di John Huston con le impressionanti scene del diluvio universale. Non esisteva allora in Italia un quartier generale della protezione civile, né un’altra struttura in grado di monitorare l’evolversi di una situazione di crisi. Il fiume Arno, a monte di Firenze e dentro la città, non era nemmeno classificato in una delle categorie a rischio idraulico previste dalla legge; la memoria delle antiche alluvioni, dalla grande piena 1177 in poi, era custodita soltanto negli archivi storici.

All’alba del giorno dopo il fiume rompe gli argini in città, l’acqua inonda le strade e sale fino ai primi piani delle case: una targa, posta in via dei Neri nel quartiere di Santa Croce ricorderà il punto più alto raggiunto dalla piena, 4 metri e 92 centimetri. Musei, chiese, luoghi d’arte sono allagati: l’acqua entra in Palazzo Vecchio, nel Duomo, nel Battistero, sventra le botteghe degli orafi sul Ponte Vecchio, procurando gravi danni anche al soprastante Corridoio Vasariano. Il Crocifisso di Cimabue della Basilica di Santa Croce, gravemente danneggiato dall’acqua e dal fango, diventa simbolo della tragedia che colpisce non solo la popolazione, ma anche l’arte e la storia. Su Firenze si rovescia una massa di quasi 700milioni di metri cubi d’acqua, che copre un’area di 3mila ettari. Le acque si ritireranno due giorni dopo: ventinove i morti, decine i dispersi, 5mila i senzatetto: la città, senza energia elettrica, resta al buio e al freddo.

Il sindaco Bargellini. Gli orologi elettrici di tutta Firenze si fermano alle 7.29 del mattino, dopo che l’energia era già saltata in alcune zone nel corso della notte. Dalle strade laterali un fiume d’acqua scorre verso piazza del Duomo con il suo carico di nafta, tronchi d’albero, segnaletica stradale, panchine, automobili e altri oggetti che la corrente trascina con sé. Il Battistero è investito da ondate violentissime. Agli Uffizi dodici persone in tutto cercano di salvare capolavori d’arte dal valore inestimabile.

A mezzogiorno di quel 4 novembre – allora giornata festiva in Italia – il capo dello Stato Giuseppe Saragat depone una corona al milite ignoto a Roma, il presidente del Consiglio Aldo Moro è invece al sacrario di Redipuglia: entrambi non sanno ancora nulla dell’alluvione e saranno informati circa un’ora dopo. A Firenze, dal ponte radio dell’Ansa, il sindaco Piero Bargellini lancia l’allarme, invitando i cittadini alla calma e sollecitando «chi ha barche, canotti, battelli di farli affluire in Palazzo Vecchio».

Ma nei giorni seguenti, pur nella costernazione per l’immenso disastro, nasce uno spirito di solidarietà che coinvolge non solo i fiorentini, ma anche volontari provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo: si comincia a spalare il fango, a distribuire i viveri e, con grande spirito di sacrificio, migliaia di giovani si dedicheranno a recuperare dal fango i quadri, i libri, le opere d’arte, dando un contributo importante per salvare il patrimonio artistico di Firenze, così gravemente danneggiato dall’alluvione.

Le mostre e i restauri. ll Consiglio regionale della Toscana ha rintracciato – anche grazie al sito www.angelidelfango.it – circa 10mila protagonisti di quella straordinaria mobilitazione: tra questi quasi 2.200 hanno risposto al’appello lanciato in gennaio di ritrovarsi insieme a Firenze per portare la propria testimonianza il 4 novembre a un grande raduno nel 40° anniversario dell’alluvione. A tutti i volontari e agli ex soldati di leva verrà consegnato un badile in miniatura, come ha spiegato il presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini, annunciando il calendario delle celebrazioni. Sempre il 4 novembre verranno inaugurate a Firenze due mostre: una raccolta di foto e filmati dedicata agli «Angeli del fango» e una sugli «Angeli della radio», quei radioamatori che – non esistendo allora i telefoni cellulari – garantirono le comunicazioni in una città isolata dal mondo. Gli eventi in programma sono più di cento, in città e in provincia.

Gli appuntamenti si apriranno il 3 novembre con la presentazione del restauro della decima formella della porta del Paradiso del Battistero di San Giovanni. La formella delle «Storie di Noè» conclude il ciclo di restauri, che ha interessato i dieci capolavori di Lorenzo Ghiberti della Porta est del Battistero, meglio nota come «Porta del Paradiso». Le dieci formelle in bronzo dorato furono realizzate dal Ghiberti dal 1425 al 1452 con la collaborazione di una folta schiera di artisti fra cui Michelozzo, Benozzo Gozzoli, Donatello e Luca della Robbia.

La meglio gioventù. Due libri appena pubblicati dall’editore Giunti ricostruiscono i retroscena e l’evoluzione della prima catastrofe mediatica che commosse il mondo. «Angeli del fango – La meglio gioventù nell’alluvione di Firenze» di Erasmo D’Angelis (pagg. 216, € 19,50) è soprattutto un omaggio alle centinaia di ragazze e ragazzi che giunsero spontaneamente a Firenze da ogni parte d’Italia e da tanti altri Paesi del mondo. Insieme con i soldati di leva e le forze dell’ordine, essi furono i protagonisti di quella generazione che anticipò il Sessantotto e segnò la nascita delle associazioni del volontariato e della protezione civile.Tra di loro, giovani e meno giovani che poi sarebbero diventati famosi (alcuni già lo erano): da Ted Kennedy a Joan Baez, da Gerard Schroeder a Josckha Fischer, da Giorgio Albertazzi a Franco Zeffirelli, da Margherita Hack a Sergio Staino, da Antonello Venditti a Francesco De Gregori. Fu il giornalista Giovanni Grazzini sul «Corriere della Sera» a coniare l’espressione «Angeli del fango» e così sono rimasti per tutti.

Il secondo libro «Acqua passata – L’alluvione del 1966 nei ricordi dei fiorentinii» (pagg. 128, € 9,50) è un collage di storie vere, dolorose ma anche divertenti, di fiorentini, illustri e meno illustri. Tra le testimonianze figurano quelle dei curatori del volume Maro Marcellini (prematuramente scomparso), che è stato sceneggiatore e autore di testi per il teatro e il cabaret, e di Gian Luigi Corinto, docente universitario, esperto di problemi ambientali. Questo l’amarcord del critico letterario Geno Pampaloni: «Rivedo ancora il vecchio Giunti, l’editore, con un saccone di carta pieno di panini imbottiti che distribuiva alle persone impegnate nella pulizia della sua azienda. E rivivo spesso l’angoscia di quella notte: la collina di Settignano buia, quell’innaturale assenza di rumori, niente traffico, niente voci. Una città surreale».

Questione ancora aperta. L’evento alluvionale del 1966 ebbe due protagonisti: la Sieve, che contribuisce per la maggior parte alle piene dell’Arno, e lo stesso Arno, i cui argini vennero travolti da una piena di oltre 4mila metri cubi d’acqua al secondo per dodici ore. «Molta strada è stata fatta, ma la questione Arno è ancora aperta, non va sottovalutata e non riguarda solo Firenze: deve essere affrontata con obiettivi, risorse e impegni adeguati. Anche questo va ricordato a chi ci governa» ha detto il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici presentando il programma delle manifestazioni.

È stata davvero imparata la lezione del 1966? «Sette milioni di euro di stanziamenti sono previsti nella Finanziaria e nelle successive Finanziarie 2008 e 2009 questa cifra è destinata a crescere» spiega il presidente della Regione Toscana Claudio Martini. Non è invece convinto delle iniziative annunciate l’ex ministro dell’Ambiente e presidente dei senatori di An Altero Matteoli: «questi soldi non serviranno a coprire neanche un decimo degli interventi di messa in sicurezza. Così l’Arno continuerà a fare paura». Come si vede, le polemiche non sono finite.

Fonte:
Il Sole 24 Ore