Effetto Pil, a un anno dalla vittoria mondiale: Italia-Germania 1-1

09/01/2009

Un anno fa l’Italia vinceva la Coppa del Mondo di calcio.

Un evento beneaugurante da molti punti di vista, e il punto di vista degli economisti della banca Abn-Amro era un po’ particolare. La vittoria, scrivevano, avrebbe fatto bene all’economia, e la spinta si poteva cifrare in un rispettabile 0,7% del Pil. Col senno di poi, questi auguri si sono tradotti nella realtà? É difficile dirlo, dato che, come diceva Marco Aurelio, ‘tutto fa parte della grande ragnatela’. Tutto è connesso, ed è difficile sgomitolare la matassa e decidere che cosa sarebbe successo se… quella vittoria non ci fosse stata. A prima vista, la previsione sembra corretta. La crescita dell’economia l’anno scorso è stata inaspettatamente elevata, e la differenza fra previsioni e risultati è proprio intorno a 0,7 punti percentuali. Coincidenza? Con ogni probabilità, sì, dato che la fiducia obbedisce a correnti più profonde che non le effimeri gioie calcistiche. In ogni caso, l’impatto della Coppa sull’economia ha senso più per il Paese ospitante – costruzione di stadi, spettatori, flussi turistici… – che per il Paese vincente.

Consideriamo la seguente proposizione: “L’economia tedesca va bene. La Germania ha ospitato nel 2006 la Coppa del mondo di calcio. Ospitare la Coppa del mondo fa bene all’economia”. Il sillogismo sembra impeccabile, se non fosse per il fatto che il post hoc, ergo propter hoc non è una guida infallibile ai nessi di causalità. Ma rimane vero che i numeri del calcio sono grandi, e suscettibili di influenzare i numeri dell’economia tutta. Quanto è grande questo impatto? Conviene a un Paese sgomitare e lottare per ospitare la Coppa del mondo? A questa cruciale domanda cerca di rispondere un recente articolo su «World Economics»: Hosting the FIFA World Cup: Economic boon or winner’s curse? di Brian Sturgess e Chris Brady. I due autori dividono innanzitutto i numerosi studi già apparsi sull’argomento in due categorie: quelli apparsi prima dell’evento e quelli apparsi dopo. I primi sono invariabilmente più ottimistici e portano a grandi vantaggi netti per il Paese ospitante. I secondi portano invece nella più parte dei casi a vantaggi zero, se non addirittura a costi maggiori dei benefici. Il che fa sospettare che gli studi prima dell’evento siano stati commissionati dagli organizzatori o in ogni caso influenzati da considerazioni extra-economiche.

In effetti, le variabili da considerare sono tante, e le spese per le infrastrutture sportive possono spiazzarne altre (più stadi e meno ospedali), così come la spesa addizionale degli spettatori implica che questi avranno meno soldi da spendere per altre cose (solo per gli spettatori dall’estero la spesa addizionale è univoca). Forse l’approccio macroeconomico (che in ogni caso deve contendere col fatto che perfino le spese di una Coppa del mondo sono in pratica trascurabili in confronto al Pil di un grande Paese) non è il migliore. Quello che conta può essere la spinta data a un settore già in espansione come il calcio, ma in ogni caso, concludono gli autori, sono decisioni da prendersi col cuore: decisioni che, così come gli effetti della Coppa sul Paese vincitore, appartengono alla ‘neuro-economia’, nuova e inesplorata branca dell’analisi economica.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
Fabrizio Galimberti