Crescono le Pmi, diminuiscono le grandi imprese
09/01/2009
Non un irreversibile declino, ma una profonda trasformazione trainata da un nucleo di medie imprese con una notevole capacità innovativa e un forte spirito di reazione alla sfida competitiva.
È questa la fotografia del sistema manifatturiero italiano scattata da Unioncamere e dall’Istituto Tagliacarne, che restituisce un quadro industriale pronto al riscatto nonostante la congiuntura sfavorevole. «La grande maggioranza delle imprese – spiega Gian Carlo Sangalli presidente dell’Istituto Tagliacarne – vede in una fase come questa la condizione di tenuta e di rilancio del nostro sistema economico che, se supportato da opportune politiche pubbliche, ha tutte le carte in regola per ripartire».
Medie aziende sempre più su. Aziende di medie dimensioni che pesano sempre di più e che erodono spazi ai grandi gruppi. I quali, si legge nel rapporto, hanno perso in poco meno di un decennio, dal 1995 al 2003, il 2,8% del valore aggiunto del settore manifatturiero, trasferito a piccole (+1,7%) e medie imprese (+1,1%). Un incremento, spiegano i responsabili del rapporto, collegato alla “deverticalizzazione” dell’organizzazione delle aziende manifatturiere che optano sempre più per una struttura orizzontale e a rete, segnata da un aumento delle transazioni tra i vari attori e da una maggiore specializzazione.
Ma è un rafforzamento non uniforme nella penisola. A spingere di più sul pedale dell’acceleratore sono le Pmi del Sud che registrano nel periodo 1995-2003 un tasso di incremento medio annuo del valore aggiunto del 4,3%, seguite dal Centro (+3,1%), dal Nord-Ovest (+2,4%) e dal Nord-est (+2,2%). Anche se è proprio in quest’ultima area del paese che le aziende maggiori hanno mostrato una migliore tenuta aumentando annualmente il proprio valore aggiunto del 3,3%.
Manifatturiero a misura di provincia. Territorio che vai, sistema che trovi. Almeno questo sembra suggerire lo studio realizzato dall’Istituto Tagliacarne e da Unioncamere. A seconda delle caratteristiche del modello di crescita di un territorio, diversa è infatti la reazione alla debole congiuntura degli ultimi cinque anni e l’intensità della trasformazione che ha interessato il settore manifatturiero. Che registra i cambiamenti più significativi lungo cinquanta province con caratteristiche, segnala il rapporto, di plurispecializzazione e alta integrazione intersettoriale e di filiera. Cinquanta province, distribuite a macchia di leopardo tra il Nord e il Sud del paese, che da sole rappresentano il 47,4% del Pil manifatturiero provinciale sul totale e il 50,3% degli occupati del settore.
Middle class alla riscossa. Una vera cinghia di trasmissione tra la micro-impresa diffusa e le poche medie e grandi aziende. Che presentano una forte propensione all’export, cooperano con gli altri attori e hanno aspettative positive rispetto all’andamento degli affari. E’ l’identikit della cosiddetta “middle class”, vero motore dello sviluppo, rappresentato da un nucleo di circa 15 mila delle 540 mila aziende con meno di 249 addetti. Che, pur costituendo solo il 3% del totale delle imprese, costituiscono il 19% del valore aggiunto del settore e danno impiego a circa 900 mila addetti. Uno zoccolo duro insomma che reagisce bene ai cambiamenti e stima per il 2006 un fatturato in crescita del 22,7% contro un arretramento del 3% del totale manifatturiero. Ma prevede in aumento anche le esportazioni, al +14,9% rispetto al +5,6% del totale del settore, e annuncia che realizzerà degli investimenti nel biennio 2006-2007 (il 32,5% degli imprenditori) a fronte di una media ferma al 7,4%.
Un futuro meno nero. Un cauto ottimismo rispetto alle prospettive di crescita per il prossimo biennio. Lo rivela l’indagine effettuata su 3.500 imprese, e contenuta nel Rapporto Pmi, secondo la quale il 33,8% delle aziende ritiene che il proprio livello di competitività possa migliorare entro il 2007 a fronte di un 56,6% che non intravede grossi cambiamenti e di un 5,9% che stima possa peggiorare. Più ottimiste le imprese con 50-249 addetti, collocate preferibilmente nel Mezzogiorno e operanti nel settore della meccanica. Che regge meglio la sfida della globalizzazione rispetto alle previsioni più incerte del manifatturiero tradizionale (il tessile-abbigliamento, pelli, cuoio e calzature).
Ma quali sono gli ingredienti giusti per migliorare la competitività? La politica dei prezzi (60% degli intervistati) e le relazioni con la clientela (51,7%), suggerisce lo studio. E ancora l’innovazione di prodotto (49,9%) e la ricerca di nuovi sbocchi di mercato (40,8%).
Competitività che può essere messa a rischio, rilevano le aziende interpellate, soprattutto dall’aumento del costo del petrolio (52,3%), ma anche dalle variazioni della domanda interna e da una elevata pressione fiscale.
«E’ un quadro – afferma il ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani – animato da alcuni segni di vitalità. E credo che questi segnali, presenti in alcuni comparti e in alcune zone del paese in particolare, ci incoraggino ad inaugurare delle politiche di sostegno industriale leggermente modificate, che passino attraverso una riorganizzazione del sistema degli incentivi».
Il ministro è tornato poi sui maldipancia presenti in seno alla maggioranza dopo l’accordo raggiunto con i tassisti sulla liberalizzazione del settore: «Ho visto che c’è qualcuno che mi sollecita a difendere delle norme che ho fatto io stesso: inviterei a non perder tempo con me e a fare qualche giro al Senato e a dare una mano perché su questa o quella norma non venga disperso l’obiettivo vero, come con i tassisti non è avvenuto». Credo, ha poi aggiunto Bersani, «che ci siano tutte le condizioni per approvare quel decreto senza modifiche sostanziali sugli obiettivi veri». L’esponente ulivista ha poi escluso l’anticipazione dell’intervento sulle accise della benzina che dovrebbe entrare in vigore dal primo gennaio e ha annunciato possibili iniziative sulle partecipazioni detenute da Edf e Aem nell’assetto azionario di Edipower dopo la segnalazione dell’Antitrust. Che ha giudicato le quote delle due società non in linea con il limite del 30% imposto ai soggetti pubblici nel capitale delle ex genco.
Fonte:
Il Sole 24 Ore