Conclave con America latina favorita
09/01/2009
Conclave con America latina favorita
Le possibili alleanze di voto per area geografica e per schieramenti.
di Giancarlo Zizola
Nel Sacro collegio, ormai quasi completamente nominato da Wojtyla, si è sviluppata con le creazioni dei cardinali del 2001 e del 2003 non solo la tendenza internazionalista dei concistori di Giovanni XXIII e di Paolo VI, ma è aumentato anche lo spazio della “Terza Chiesa”, con un incremento dei porporati dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Mai il collegio cardinalizio è stato più variegato, per ragioni geopolitiche, linguistiche e culturali, e mai la varietà delle scelte è stata più aperta, suscettibile anche di sorprese per un outsider dell’ultima ora, fra i 117 cardinali elettori.
Sulla scelta del nuovo capo di 1 miliardo e 18 milioni di cattolici, l’appartenenza nazionale dei “papabili” non è più destinata a giocare un ruolo determinante Nella stessa curia romana non risulta una omogeneità di orientamenti tale da comportare una disciplina di gruppo e di voto in conclave.
Più trattabile, invece, l’eventualità di una solidarietà trasversale tra gruppi nazionali, romani e continentali sui problemi cruciali dell’avvenire della Chiesa in una società in trasformazione.
La previsione di un Papa latino americano. I riformisti sostengono un programma di cambiamenti sul Sinodo dei Vescovi,sulla riforma della curia,sul decentramento alle Chiese locali e su nuove modalità del primato papale. Il piano include,nelle ambizioni più audaci, anche la convocazione di un nuovo Concilio Ecumenico. Essi vorrebbero associare questo piano al fascino simbolico di un papa latinoamericano per spingere sul trono di Pietro un uomo capace di rappresentare l’alternativa spirituale della Chiesa dei poveri. Come potenziali papabili a disposizione per l’America Latina ricorrono principalmente i nomi di José Maria Bergoglio, gesuita argentino, arcivescovo di Buenos Aires, e di Claudio Hummes, arcivescovo di Sao Paulo, che ha preso le distanze dalle correnti progressiste della Chiesa “popolare” del Brasile.
La personalità che, a partire dal Giubileo del Duemila, ha preso rilievo in questo scenario è l’arcivescovo di Tegucigalpa Oscar Andrés Rodrìguez Maradiaga (1942), un religioso della Congregazione salesiana che riunisce un ventaglio di interessi nei più svariati campi dell’umano e parla cinque lingue: pianista e compositore, diplomato in psicologia clinica e in psicoterapia a Innsbruck, laureato in teologia morale al Laterano e in filosofia, professore di fisica e matematica, scienze naturali e chimica,docente di teologia in Guatemala, rettore dell’Istituto filosofico salesiano, vescovo ausiliare di Tegucigalpa, a soli 36 anni, e arcivescovo della stessa Chiesa nel ’93. Se dovesse prevalere in conclave un aperto orientamento sociale sarebbe facile prevedere che Maradiaga attirerebbe l’attenzione degli elettori.
Una candidatura dall’Asia. Nella prospettiva di un’opzione simbolica dei nuovi mondi, anche l’Asia parrebbe pronta a presentare una candidatura fra i suoi 11 cardinali (un massimo storico): se non fosse limitato da condizioni di salute menomate dal diabete, le opportunità sarebbero favorevoli all’arcivescovo di Bombay cardinale Ivan Dias.
Implicita nell’opzione di un papato asiatico sarebbe l’adozione di un programma che rilanci la teologia del dialogo fra le grandi religioni mondiali, avviando a soluzione quei nodi che avevano rallentato l’espansione dell’impegno inter-religioso di Giovanni Paolo II.
Il cardinale Dias, nato a Bombay nel 1936 ha contribuito, con la dolcezza irresistibile dello stile che è suo, a domare le più spericolate impazienze dei teologi indiani dell’inculturazione. Diplomatico di carriera, discepolo spirituale di Madre Teresa di Calcutta, ha posto la premura per i poveri e la carità in cima alla sua missione di rappresentante pontificio in Costa d’Avorio prima e poi di primo nunzio apostolico nell’Albania del dopo Muro. Consacrato arcivescovo nel 1982, egli ha ricostruito la Chiesa cattolica in Albania, intervenendo con spirito ecumenico a sedare i conflitti etnici.
Nella sua figura quindi si potrebbero riconoscere tanto le esigenze che accentuano il polo dell’unità gerarchica della Chiesa sotto l’autorità del papa quanto le spinte universalistiche e missionarie ai nuovi mondi, mediante l’accettazione di una opzione non eurocentrica della missione della Chiesa e lo sviluppo del dialogo fra le religioni su basi di chiarezza dogmatica.
Un ritorno al governo istituzionale. Secondo una diversa linea di opinioni,la cosa più necessaria è che la Chiesa volante di Wojtyla compia l’atterraggio dopo 27 anni di “stato di eccezione” carismatico sulla pista dei problemi istituzionali critici,lasciati da parte da troppo tempo,e porti l’aereo nell’hangar per una attenta verifica delle ali e dei motori.
Se questa visione dovesse prevalere, il conclave potrebbe orientarsi verso un esperto capoofficina, più che su un altro gigante carismatico. L’identikit di questa candidatura includerebbe esperienza pastorale, capacità di governo, temperamento di mediazione per recuperare sulle questioni critiche il metodo del dialogo tra principi immutabili e concreta realtà storica.
Uno dei candidati in questa linea è Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi. Originario di Brescia, la diocesi di Paolo VI, – del quale ha esaltato la dottrina del dialogo – un’età relativamente giovane (1934) e una carriera in Segreteria di Stato, Re potrebbe catalizzare i consensi degli elettori interessati più a un papa di soglio che a un papa carismatico, ad un uomo capace di riparare le fratture interne, di mettere le mani sulla riforma della curia e sulla rianimazione della collegialità nel governo centrale e di restituire alle Chiese locali quello che la politica centralista ha loro tolto negli anni Novanta.
Il nome che ricorre più frequentemente e ormai da anni nelle liste dei papabili è quello del cardinale Dionigi Tettamanzi, successore di Martini a Milano, considerato come una soluzione mediana, capace di realizzare una convergenza sia dal campo riformista che da quello moderato. Milanese,nato nel 1934, questo teologo morale, che ha esplorato le frontiere della bioetica e dell’etica economica in età di mercato globale, si è sempre mantenuto su posizioni prudentemente riformiste, anche se con un riguardo per alcuni eccessivo al vento del potere curiale.
La sua lettura positiva della crisi della cristianità e la convinzione che il primato dello spirituale esige un nuovo ciclo riformista nella Chiesa lo hanno avvicinato alle posizioni di Martini. Molto amico di Re, di cui è stato compagno di scuola, si dice che potrebbe beneficiare in conclave anche dell’appoggio del l’amico.
Il partito dell’identità. Emerge anche uno schieramento sull’obiettivo di prolungare la politica di Wojtyla in un rafforzamento di stile gregoriano della potenza eticopolitica della Chiesa romana, come era accaduto nell’anno Mille dopo il pontificato di Silvestro II, il papa francese che aveva aperto la via a Gregorio VII.
Questa alleanza potrebbe contare sulla convergenza della influenza dei Movimenti, in particolare dell’Opus, dei Focolari e di Cl, da un lato, e dell’ala tradizionalista sia lefebvriana che legalitaria dall’altro. La loro consistenza sarebbe sufficiente a bloccare il terzo dei voti all’inizio per poter impedire l’elezione di un candidato non omogeneo nei primi tre giorni di scrutini, per i quali vige il quorum dei due terzi.
Così questo partito potrebbe far scattare in conclave il regime previsto dalla legge elettorale di Wojtyla, secondo la quale se i primi tre giorni di voti sono stati inutili, si passa al voto sul cambiamento del metodo, per adottare il quorum della metà più uno dei voti. Anche per procedere al nuovo metodo basta la maggioranza assoluta.
In questo modo la corrente che dispone in partenza di una quantità di voti prossima alla metà degli elettori potrebbe aumentare anche di pochissimo, strada facendo, il proprio carniere elettorale e portare al trono il proprio candidato. In questa prospettiva, ipotizzata dalla stessa costituzione elettorale vigente, il conclave durerebbe almeno una decina di giorni e, per trattare una soluzione identitaria, provocherebbe una nuova lacerazione, con l’elezione di un Papa di parte, invece che di un riequilibratore.
A disposizione per la designazione di questo piano identitario i nomi sono molti, dall’arcivescovo di Genova, Tarcisio Bertone, per lunghi anni primo collaboratore del cardinale Ratzinger (in ogni caso influente come grande elettore) nella carica di segretario della Congregazione per la Dottrina, allo stesso cardinale segretario di stato Angelo Sodano, la cui influenza incarna la più politica delle candidature in campo.
Sostenuta da Sodano, potrebbe emergere anche la candidatura dell’arcivescovo di Torino Severino Poletto, originario di Treviso (1933), promosso vescovo di Asti (patria di Sodano) nel 2000 per le sue qualità spirituali e pastorali.
Il Patriarca di Venezia Angelo Scola, che proviene dal movimento “Comunione e Liberazione”, potrebbe costituire fra gli italiani una possibile alternativa a Tettamanzi, se il conclave si orientasse per la continuità sostanziale degli stili carismatici di Wojtyla, con in più il minimo di aggiustamenti strutturali indispensabili a rafforzare il ruolo politico della Chiesa. La federazione di gruppi di pressione varata dall’Opus Dei potrebbe avere allora un peso ingente nel portare al successo la candidatura di questo fine teologo, cresciuto fra le braccia di Urs von Balthasar.
È chiaro che il Conclave dovrà porsi la domanda sul come non disperdere la potenza d’urto del movimento collettivo che si è riconosciuto nel leader carismatico polacco.
Meno lacerante sarebbe la candidatura, pur sempre di segno restaurativo, del cardinale Christoph Schonborn, il brillante domenicano arcivescovo di Vienna, redattore del Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, il quale, senza le asprezze identitarie di Biffi, e il rigore metallico del suo sponsor Ratzinger, anzi aperto al dialogo, assicurerebbe un’interpretazione suggestiva alle aspettative dell’ala intransigente e della più ampia cerchia del conservatorismo cattolico. Ma non gioca a suo favore l’età relativamente giovane – è nato nel 1945 – né l’appartenenza all’area tedesca, divenuta troppo fastidiosa a troppi.
Una soluzione mediana potrebbe apprezzare anche candidature di profilo più spirituale e pastorale, sia pure organiche ad alcuni movimenti, però da posizioni distinte come quella dell’arcivescovo di Firenze, il cardinale Ennio Antonelli, (1936), vicino al Movimento dei Focolari di Chiara Lubich.
Quale papa? Bisogna ammettere che l’analisi degli schieramenti tenderebbe a escludere, dall’una e dall’altra parte, soluzioni troppo aperte. L’eredità del regno polacco è troppo complessa per lasciarsi ingabbiare in una interpretazione univoca, che costituisca un lasciapassare per gli uni o per gli altri. È vero che nella dinamica elettorale di un conclave l’appello alla continuità ha sempre avuto il suo fascino, ma dopo oltre un quarto di secolo di fulgori polacchi si può capire la voglia di voltare pagina. Il bisogno di una transizione nell’ordinario può essere tutt’altro che una semplice alternativa tra banalizzazione e critica. Potrebbe comportare anzi un difficile compito di traduzione e invenzione, un lavoro di sfruttamento della infinita congerie di insegnamenti e gesti prodotta da un Papato vissuto in faccia al mondo, fino a un riesame complessivo del posto della Chiesa nel difficile nuovo secolo.
Il Sole 24Ore
4 aprile 2005