Brasile, la banca centrale interviene per difendere il real, la peggiore moneta degli ultimi mesi

23/08/2013

Anche il Brasile interviene a difesa della sua moneta, il Real, che, come molte altre valute dei mercati emergenti, mostra forti segnali di debolezza a causa dei crescenti timori relativi al tapering, ovvero la fine della maxiliquidità con cui la Federal Reserve ha inondato i mercati negli ultimi anni.

Il Real, che negli ultimi diciotto mesi è risultato essere la moneta peggiore fra quella dei mercati emergenti, verrà difeso dalla banca centrale della più grande economia dell'America Latina attraverso un programma da 60 miliardi di dollari volto ad assicurare la liquidità e fermare la volatilità delle ultime settimane.

La moneta brasiliana è crollata del 15 per cento quest'anno, scendendo ai minimi degli ultimi quattro, verso quota 2,50 per dollaro, toccata l'ultima volta alla fine del 2008; le conseguenze di questa debolezza sono le solite, ovvero maggiori prezzi all'importazione e maggiore inflazione, già normalmente una piaga per molti Paesi emergenti, e che, unito al rallentamento economico, potrebbe comportare l'ingresso in stagflazione, ovvero quella particolare situazione economica caratterizzata da due eventi solitamente opposti, ovvero elevata inflazione e stagnazione economica.

La crescita brasiliana stimata per il 2013 è stata recentemente tagliata dal 3 per cento al 2,5 per cento, come pure quella del 2014, che è calata dal 4,5 al 4 per cento. Negli anni precedenti il 2011 la crescita annua era del 7,5 per cento, nel 2012 si è scesi ad appena +0,9 per cento.

La banca centrale brasiliana è stata quella più attiva nella corsa al rialzo dei tassi d'interesse cui è stato possibile assistere fra diversi Paesi emergenti negli ultimi mesi: ad aprile il tasso era ad un minimo storico del 7,25, mentre è attualmente al 8,50 per cento, e secondo gli analisti interpellati da Thomson Reuters ci sono elevate possibilità di assistere ad un aumento di almeno un altro mezzo punto, se non addirittura uno e un quarto, nel corso del meeting del 28 agosto. Un aumento dei tassi d'interesse, se da un lato difende la moneta, dall'altro rischia di deprimere la crescita economica.

L'altro problema del Brasile si chiama inflazione, poco sopra il 6 per cento, ovvero molto vicina al target fissato dalla banca centrale, oltre il quale potrebbe intervenire con nuove manovre di stretta monetaria; il Paese risulta essere particolarmente sensibile all'argomento, a seguito dell'iperinflazione a quattro cifre degli anni Novanta, e il continuo rialzare la testa dell'inflazione ha indispettito i consumatori, rallentato l'economia e scatenato le proteste cui il mondo ha potuto assistere durante la recente Confederations Cup.

La lentezza dell'economia brasiliana dipende solo in minore parte del rallentamento globale degli ultimi anni, mentre il resto dei problemi sarebbero autoinflitti. Uno dei problemi potrebbe essere proprio la politica monetaria non indipendente, forse imposta o almeno suggerita dal presidente Dilma Rousseff (che ha il potere di sostituire a piacimento il presidente della banca centrale), che dal 2011 ha visto il tasso crollare in appena 15 mesi dal 12,50 al 7,25 per cento, verso livelli ritenuti più "civili". Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che la politica fiscale ed economica da "Paese civile" che doveva accompagnare questo calo dei tassi non c'è stata, sicché il deterioramento delle condizioni economiche locali e globali ha colpito le vecchie industrie e infrastrutture brasiliane, mentre il deficit commerciale è arrivato al 3,2 per cento del PIL a giugno.

Anche il Brasile, come altri Paesi emergenti, ha perso il treno delle riforme, e ora rischia di pagare amare conseguenze.

 

Fonte:
International Business Times