Brasile – Cina: il fallimento delle trattative commerciali
09/01/2009
Dopo mesi di difficili trattative con il governo di Pechino, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha accettato di firmare due decreti volti a creare delle restrizioni all’import dalla Cina in seguito alle pesanti pressioni di diversi settori industriali brasiliani che si vedevano minacciati dalla concorrenza proveniente dall’oriente.
Come accaduto per Stati Uniti ed Unione Europea, all’inizio dell’anno il Brasile è statto invaso di prodotti tessili economici cinesi nel momento in cui è stato eliminato il sistema dell’Accordo Multifibre, che durante vari anni impose quote sulle importazioni.
Sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea hanno provveduto rapidamente ad adottare sanzioni commerciali su alcune importazioni tessili cinesi, stessa misura richiesta ora a gran voce dalle associazioni brasiliane di esportatori e industriali.
Le pressioni verso il governo brasiliano si sono inasprite in seguito alla pubblicazione di minacciose statistiche sulle importazioni cinesi in Brasile che avrebbero ridotto in maniera consistente il surplus brasiliano.
Gli imprenditori brasiliani sono infatti delusi per i magri rendimenti prodotti dalle misure prese dal governo lo scorso novembre durante la visita del Presidente cinese Hu Jintao in diversi paesi latino-americani.
Durante tale viaggio, il presidente Lula, e come lui altri capi di stato del sud america, riconobbe alla Cina lo status di “economia di mercato”, secondo le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
L’obiettivo dell’operazione era chiaro: Lula e Hu Jintao si aspettavano di raddoppiare il commercio bilaterale per un giro d’affari di 20 miliardi di dollari in tre anni.
Per il Brasile tale affare sarebbe stato un investimento, mentre per la Cina la designazione di economia di mercato significa, intermini pratici, l’applicazione di tariffe più basse sui propri beni esportati. Tale status complica inoltre l’imposizione di sanzioni anti-dumping alla Cina.
Ma le aspettative non si sono verificate. Il Brasile, nonostante il grande quantitativo di esportazioni verso la Cina (4.100 milioni di dollari durante i primi 8 mesi dell’anno), lamenta un commercio costituito per la maggioranza da beni di base o con scarso valore aggiunto. Nel frattempo, le importazioni cinesi in Brasile sono cresciute velocemente (tanto da ridurre il surplus del commercio bilaterale brasiliano del 51% rispetto all’anno scorso) ed i milioni di dollari promessi dalla Cina per le infrastrutture tardano ad arrivare.
Secondo le statistiche, le importazioni dalla Cina avrebbero raggiunto un ammontare di circa 3,3 miliardi di dollari nei primi otto mesi del 2005, con un aumento del 48% rispetto al 2004.
Nei primi otto mesi di quest’anno, l’industria tessile brasiliana ha fatto fronte ad importazioni cinesi per un giro di affari di circa 229 milioni di dollari.
La vendita di giocattoli dal paese asiatico, ad esempio, è più che raddoppiata nello scorso anno, per un giro d’affari di 20,8 milioni di dollari.
Anche la vendita di scarpe di produzione cinese in Brasile è raddoppiata fino a giungere a 9,4 milioni di paia in un anno.
Inoltre, l’aumento di valore della moneta brasiliana real, che è cresciuta del 44% da maggio dell’anno scorso, ha peggiorato la competitività delle industrie nazionali, favorendo le importazioni cinesi.
Ma il governo brasiliano ha dovuto far fronte anche alle pressioni provenienti dalla parte opposta, cioè le compagnie commerciali partner della Cina.
Roger Agnelli, il più grande esportatore brasiliano e proprietario di una delle compagnie di estrazioni di materiali ferrosi più importanti al mondo (la Companhia Vale do Rio Doce), ha fatto esplicita richiesta al governo affinché fosse trovata una soluzione negoziale prima di innalzare barriere commerciali.
Secondo Agnelli “la Cina è un partner commerciale strategico con cui il Brasile dovrebbe sempre cercare il consenso. La Cina vede il Brasile come un partner strategico a lungo termine, per questo è importante coltivare le relazioni commerciali”.
Opinione questa ampiamente diffusa tra gli analisti, considerato anche il peso commerciale e politico che il gigante asiatico sta ritagliandosi anno dopo anno.
La trattative brasiliane
Il governo brasiliano aveva cercato di regolamentare la situazione da diverso tempo, soprattutto a livello regionale, cioè in seno al MERCOSUR, studiando misure comuni da far adottare a tutti i paesi partecipanti.
Le trattative si sono però arenate con l’Argentina perché il governo di Brasilia ha percepito che Buenos Aires avrebbe potuto usare l’accordo per frenare anche le importazioni brasiliane.
La regolamentazione pertanto è stata concepita a livello bilaterale, tra Cina e Brasile.
La limitazione delle importazioni cinesi, con l’approvazione di due decreti volti alla restrizione del flusso di import, avviene in seguito al fallimento delle trattative svolte durante un viaggio a Pechino da parte del Ministro dello Sviluppo, dell’Industria e del Commercio con l’estero Luiz Fernando Furlan.
Tale viaggio veniva intrapreso in un periodo in cui, nonostante esistessero ovvi problemi per la limitazioni delle importazioni, le relazioni commerciali tra i due paesi andavano molto bene.
Alla fine del mese di settembre infatti il governo Brasiliano aveva l’intenzione di pubblicare il protocollo di ammissione della Cina alla WTO nel Diário Oficial (Registro Federale). Con tale gesto, il Brasile riconosceva ufficialmente la Cina quale paese membro del WTO.
Secondo il Ministro dello Sviluppo Agrario Miguel Rossetto, il protocollo di ammissione rappresentava una mossa d’apertura volta a preparare il terreno al viaggio di Furlan in Cina.
Le dichiarazioni di Rossetto, in accordo con l’intero governo, parlavano chiaro: il Brasile avrebbe preferito un accordo con la Cina, ma senza sacrificare la propria economia, specialmente il settore industriale. Pertanto sarebbero state preparate misure di limitazione delle importazioni da applicare nel caso in cui non si fosse giunti ad un accordo.
Specificatamente, nel suo viaggio Furlan avrebbe dovuto sollecitare le autorità cinesi per limitare le spedizioni di scarpe, tessuti e giocattoli per evitare la chiusura di numerose fabbriche in Brasile.
Il ministro, accompagnato da rappresentanti delle associazioni dell’industria tessile, dei giocattoli e delle scarpe brasiliane, nell’incontro con il Ministro del Commercio Bo Xilai ha fatto richiesta di controllare la crescita delle esportazioni per evitare l’adozione di misure restrittive al commercio dalla Cina.
In particolare, la rappresentanza brasiliana avrebbe fatto richiesta di limitare le vendite di questi beni alla media del triennio 2002-2004, consentendo solo un 5% di crescita ogni anno.
Le negoziazioni tra Brasilia e Pechino per ristringere il flusso di importazioni si sono concluse però senza alcun accordo: Furlan ha lasciato la capitale cinese dopo aver affermato che le trattative si sono arenate in un “ristagno dell’ultimo minuto”, come riportato dall’agenzia di notizie brasiliana Estrado.
Secondo tale agenzia, l’accordo era già perfezionato al 99%, ma poi alcune introduzioni dell’ultimo minuto da parte del governo cinese hanno fatto fallire la trattativa.
Comunque entrambi i paesi ammettono la possibilità di riprendere le conversazioni in futuro.
Alla notizia del fallimento delle negoziazioni, le reazioni del governo brasiliano sono state molto dure.
Il Ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim, ha ammesso che “le aspettative che avrebbero dovuto seguire il riconoscimento dello status di economica di mercato alla Cina erano più grandi”, nonostante non siano ancora stati valutati precisamente i vantaggi ottenuti dal Brasile in termini di investimenti.
L’adozione delle contromisure
Lo status di economia di mercato era stato riconosciuto alla Cina da Brasile, Argentina, Cile e Perù a novembre dell’anno scorso.
Il loro obiettivo era quello di ricevere un corrispettivo in investimenti, vista il loro status di esportatori di materie prime proprio verso il gigante orientale.
Ma attraverso tale riconoscimento, i paesi dell’America Latina non possono imporre facilmente limiti alle importazioni dei prodotti cinesi.
Come ha ammesso Ruben Barbosa, ex ambasciatore brasiliano a Londra e Washington, la previsione di ricevere infrastrutture e altri investimenti non si è verificata. Da qui la richiesta da parte della Federazione Statale dell’Industria brasiliana e di altre associazioni economiche brasiliane di innalzare misure di salvaguardia.
Come primo passo verso la possibile imposizione di sanzioni commerciali al paese asiatico, il Ministero del Commercio e Sviluppo brasiliano ha ottenuto l’autorizzazione nei primi giorni di ottobre di verificare se le industrie brasiliane siano state pregiudicate per presunta concorrenza sleale delle importazioni cinesi.
È infatti necessario avere una dimostrazione concreta del danno all’economia interna prima di poter procedere all’innalzamento delle misure di salvaguardia, onde evitare problemi di fronte all’Organizzazione Mondiale del Commercio.
L’autorizzazione è stata firmata direttamente dal presidente Lula e pubblicata nel Registro Federale.
L’ordine autorizza il Ministero ad “investigare azioni che tendano a creare condizioni di disordine per le compagnie coinvolte nel mercato interno brasiliano”, anche se non indica una data di scadenza per completare la rilevazione.
Tra le misure di salvaguardia possibili sono previsti aumenti di tariffe e quote di importazione, ma solo dopo aver accertato l’esistenza di tali condizioni.
Secondo il Ministero, un’ondata di importazioni economiche che ha ridotto il surplus brasiliano nei confronti della Cina a meno della metà dello scorso anno. Come evidenziato in precedenza, fino alla fine di agosto, il Brasile ha esportato verso la Cina per un ammontare di 4.100 milioni di dollari nel 2005 ed ha importato per un ammontare di 3300 milioni, con un surplus di 800 milioni di dollari pari al 51% in meno dei primi otto mesi del 2004, cioè prima che il Brasile avesse riconosciuto lo status di economia di mercato alla Cina durante la visita del Presidente Hu Jintao nel novembre del 2004.
Conclusioni
Dopo il fallimento delle trattative volte ad un accodo negoziale al problema, le relazioni commerciali tra Brasile e Cina sembrano complicarsi, come peraltro ammesso dallo stesso governo cinese.
È necessario sottolineare che, come evidenziato da molti analisti, ignorare o combattere la Cina non è un’opzione semplice né comoda al giorno d’oggi.
Secondo molti, il presidente Lula ha concesso troppo e troppo velocemente, per poi tentare di correggere la situazione in seguito per far fronte alle pressanti richiesti delle associazioni brasiliane.
Non dobbiamo dimenticare che nonostante gli investimenti in infrastrutture cinesi siano stati inferiori alle aspettative, la Cina è un “consumatore in crescita”, pertanto questo potrebbe essere considerato un affare a medio-lungo termine.
Il fabbisogno cinese di materie prime e beni intermedi potrebbero essere infatti un vantaggio per una nazione che è ciclicamente instabile, cioè incline a boom economici seguiti da periodi di instabilità, come si è dimostrata il Brasile.
Come rovescio della medaglia però gli effetti negativi di tale operazione sono subito evidenti.
Pertanto molto dipenderà da come il mondo imprenditoriale ed i consumatori brasiliani reagiranno agli effetti di un accordo che nell’immediato farà potenzialmente ottenere al paese meno di quanto concederà.
Fonte:
Equilibri.net
Maurizio De Santis
03 novembre 2005