Borse, nel 2015 vincono Italia e «Pigs»

05/10/2015

Nell’anno del rallentamento cinese, del crollo delle materie prime, della crisi dei Paesi emergenti e del possibile – chissà – rialzo dei tassi negli Usa, gli ultimi sono diventati i primi. Come nelle migliori parabole, i Paesi che fino a poco tempo fa venivano chiamati «Pigs» nel 2015 hanno regalato agli investitori le migliori performance sia sulle Borse sia sui titoli di Stato. Tra le più brillanti Borse al mondo, da gennaio ad oggi, svettano infatti quelle di Milano (+12,54%), Dublino (+16,59%) e Lisbona (+12,77%). Tra le più affaticate, invece, si distinguono Francoforte (-2,57%), Londra (-6,64%) e New York (-5,22%). Idem per i titoli di Stato: i BTp italiani hanno registrato da inizio anno una performance complessiva del 4%, regalando più soddisfazioni rispetto ai Bund tedeschi (+1,35%) e ai titoli francesi (+1,37%). Solo la Spagna, tra i «Pigs» soffre in Borsa: colpa dell’incertezza politica pre-elezioni.

Gli ultimi sono diventati i primi perché il 2015 ha messo in scena, nei primi tre trimestri, un gigantesco rimescolamento di carte. Ha infranto molte certezze che sembravano granitiche fino al 2014. Per esempio quella della Cina e dei Paesi cosiddetti «Brics». Quegli Stati che fino a poco tempo fa sembravano la terra promessa per le imprese che volevano trovare mercati di sbocco o per gli investitori, ora sono di fronte a una crisi pesante causata dagli squilibri strutturali creati negli anni passati: la Cina rallenta, mentre Brasile e Russia sono in profonda recessione. Solo l’India, tra i «Brics», è ancora in corsa. Questo si è ovviamente riversato sulle performance di Borsa: la Borsa di Shanghai (miracolo di performance fino a giugno) ora mostra una flessione del 5,62% rispetto all’inizio dell’anno e quella del Brasile frena del 5,95%. Altro sogno infranto nel 2015 è quello delle obbligazioni aziendali, soprattutto quelle con bassi rating che fino a poco tempo fa attiravano gli investitori in cerca di rendimenti come il miele attira gli orsi. La fine del denaro facile negli Usa, la volatilità e il crollo delle materie prime (molte aziende sono attive in questo settore) ha infatti causato un forte ribasso dei prezzi di questi titoli: chi avesse investito a gennaio sui bond «spazzatura» americani (quelli emessi da aziende poco affidabili) avrebbe perso il 2,7%, e chi avesse puntato sui bond di aziende con alta affidabilità in Europa avrebbe bruciato l’1,7%.

Tutto questo significa che è finito un lungo ciclo di rally sui mercati? Impossibile a dirsi. Dipenderà molto dalle politiche delle banche centrali. E dall’esistenza o meno di un contagio dai Paesi emergenti. Una cosa è certa: lunghi anni di politica monetaria espansiva (tutt’ora in corso) hanno lasciato tali squilibri, che i rischi all’orizzonte sono sempre maggiori. E le performance per chi investe sempre minori.

Fonte: IlSole24Ore.com