Borse ai massimi: il paradosso italiano

09/01/2009

C’è un dato paradossale che in questi ultimi mesi ha caratterizzato le vicende economiche italiane. Un dato che emerge con tutta evidenza dalle cronache dei giornali, dai commenti degli analisti, ma soprattutto dai numeri imprescindibili che giorno dopo giorno segnano in negativo o in positivo l’andamento dell’economia: Piazza Affari è in pratica da due anni in continuo rialzo mentre i conti economici segnano il passo.

Fa un certo effetto notare come il listino milanese abbia chiuso il 2004 sul trono delle Borse europee, mentre le notizie degli ultimi giorni evidenziano i moniti del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea sui conti dell’Italia.

In soldoni: l’economia del Belpaese ristagna, mentre la Borsa vola. Com’è possibile? Il manuale del buon economista vuole che i mercati anticipino di sei mesi i risultati dell’economia: beh questi sei mesi sono passati da un pezzo.

Allora sarà bene fare alcune considerazioni. Il paradosso è, infatti, spiegabile con le peculiarità della Piazza italiana e più in generale del vecchio Continente. L’Europa va dietro all’America: e a maggior ragione Piazza Affari che rappresenta appena il 2% della capitalizzazione di tutte le Borse mondiali è influenzata dagli andamenti di Wall Street.

Per dirla semplice: con il Dow Jones ai massimi, la bolla immobiliare alle porte e il prezzo del petrolio che stava per esplodere, gli americani hanno pensato bene di puntare sui listini di Parigi, Madrid, Francoforte e Milano.

Questo è un punto. Ma c’è un’altra peculiarità propria di Piazza Affari che giustifica il paradosso. La crescita di Milano, infatti, è stata caratterizzata dai rialzi delle utility, dei titoli finanziari e delle società con una media o piccola capitalizzazione: Enel, Eni, Capitalia, Bnl, Banca Intesa, Lottomatica, Astladi, Italcementi e via dicendo: non sono certo le azioni delle società legate all’industria ad aver trainato i mercati. Fosse stato per Fiat e Parmalat, insomma, oggi saremmo qui a raccontare tutta un’altra storia. E forse, insieme all’economia, anche la nostra Borsa sarebbe ferma la palo.

ALAN FRIEDMAN