Ancora guai per Prodi. Due i vicepremier ma manca la squadra

09/01/2009

ROMA «I vicepremier? Tutto bene, abbiamo fatto passi in avanti». Largo sorriso di Romano Prodi, alla fine del vertice di Piazza Santi Apostoli con Fassino, D’Alema, Migliavacca per i ds, Rutelli, Franceschini, Parisi per i dielle. Per capire qualcosa in più di una riunione dalla quale tutti escono con le bocche cucite, e che nonostante sia durata oltre tre ore viene aggiornata a lunedì, bisogna ascoltare attentamente come finisce la frase del Professore: «Abbiamo cominciato a mettere assieme le caselle… Adesso, ci sono i soliti riti, siamo in piena celebrazione…».

I «soliti riti» è la sarcastica definizione che il Professore affibbia alla segreteria della Quercia che Fassino e D’Alema, hanno annunciato essere passaggio «imprescindibile» per prendere collegialmente, come si conviene, una decisione sulla controversa questione dei vicepremier. Ruolo al quale fortissimamente tiene Rutelli, mentre D’Alema, dopo la rinuncia di Fassino a entrare nell’esecutivo per curare la Quercia «baricentro e architrave dell’Ulivo», puntava proprio a eliminare il ruolo, per sè, e per Rutelli, ovviamente. Segreteria che i diesse terranno lunedì, giorno già fitto di impegni, visto che si tratta dell’insediamento di Napolitano al Quirinale. E si deve svolgere perché per dare il via libera a un vicepremier diessino occorre parlarne. «Ci vuole un mandato del partito per indicare la personalità che ricoprirà quel ruolo». E chissà, «sarebbe bello se fosse una donna», per esempio Livia Turco, e chissà se è opportuno che ci siano due vicepremier, tutti e due dell’Ulivo, era il succo del ragionamento.

Sarebbe bello, e chissà se è opportuno, anche per ridimensionare il ruolo di Rutelli nel governo, naturalmente. Insomma, «i diesse fanno melina, un po’ hanno bisogno di tempo per far digerire a Fassino il fatto che D’Alema va agli esteri, e magari col ruolo di vice-Prodi, un po’ alzano la posta», è la valutazione finale di un rutelliano di prima fila. E a furia di alzare la posta, al vertice di ieri la proporzione di 9 a 6 tra Quercia e Margherita in quanto a posti ministeriali è rimasta ferma, ma con i diessini che hanno chiesto – visto che la questione vicepremier non è conclusa – di «rivalutare le loro deleghe». Il che è come dire un upgrading dei dicasteri: pare rivendichino anche la Giustizia. Anche per questo, e non solo per la controversa questione della Difesa contesa tra Mastella e Bonino (e alla quale Prodi potrebbe por fine grazie al “terzo incomodo”, ovvero mettendoci Parisi che dicono nicchi all’idea di esser dirottato altrove), ieri si è riaperta tutta la partita della composizione del nuovo gabinetto Prodi. Il quale, ventiquattr’ore prima, aveva chiesto e ottenuto l’assenso di Giuliano Amato ad andare a sedersi al Viminale, offrendogli tuttavia come prima opzione quella di vicepremier unico senza deleghe. Operazione prontamente bloccata da D’Alema, che l’interpretava come una sorta di padrinaggio sulla sua personale politica alla Farnesina. Il che è in tutta evidenza forse proprio quel che Prodi aveva in mente: con D’Alema alla Farnesina, Napolitano alla presidenza della Repubblica, Bertinotti alla presidenza della Camera, tre delle quattro «gambe» istituzionali su cui marcia la politica estera sarebbero in mano alla sinistra.

Meglio rafforzare la presidenza del Consiglio, con un vice dal profilo di Giuliano Amato. Proprio per questo ieri dal vertice di Santi Apostoli si è usciti in maniera interlocutoria, Prodi in particolare guardandosi bene dallo specificare quanti saranno i vicepremier. Naturalmente, è assai probabile che alla fine saranno due. Ma, come dice Prodi, «saremo pronti per martedì pomeriggio». Come dire che «saremo pronti» un minuto prima di salire al Quirinale, non prima. Anche perché mentre i leader dell’Ulivo discutevano, all’esterno del palazzo di Santi Apostoli era tutto un rombar di tamburi. «E’ indecente che l’Ulivo si spartisca tutte le poltrone», tuonava Manuela Palermi del Pdci. «Bonino alla Difesa non va, la sua linea politica non è quella dell’Unione», rombava Diliberto che di quel partito è il segretario, e che sin qui signorilmente aveva solo indicato nomi, senza chiedere posti. Adesso invece i cossuttiani, visto che la Bindi alla Pubblica Istruzione pare non preveda lo scorporo del ministero dell’Università, chiedono l’istituzione di un ministero dello Sport. O un ministero pesante come il Welfare. E chissà se basterà un altro vertice solo.

Fonte:
La Stampa