Anche il Brasile di Lula entra nel club atomico. Senza clamori

09/01/2009

RIO DE JANEIRO – Anche il grande e pacifico Brasile si prepara ad entrare nel ristretto club delle potenze atomiche. Senza troppo clamore – né qui né all’estero – il governo Lula ha annunciato venerdì l’inaugurazione di un centro per l’arricchimento dell’uranio, non lontano da Rio de Janeiro.

L’obiettivo è arrivare nel giro di pochi anni al possesso del ciclo integrale di produzione di energia atomica, a fini esclusivamente pacifici. Il Brasile ha oggi due centrali in attività, ad Angra dos Reis, metà strada tra Rio e San Paolo, e si prepara a costruirne una terza. L’energia dell’atomo è responsabile di una piccola fetta dei consumi del Paese (1-2 per cento), ma concentrati nelle regioni più popolose e industriali.

Finora l’arricchimento dell’uranio è avvenuto in Europa, a cura della Urenco, dove il minerale – di cui è ricco il sottosuolo brasiliano – viene spedito per nave. Da tempo, però, il Brasile ha dichiarato l’intenzione di far da solo, perché in possesso di una tecnologia molto avanzata.

Il programma nucleare ha provocato negli ultimi anni alcune frizioni tra il Brasile e la Aiea, l’agenzia Onu per l’energia atomica. Il governo Lula dichiara oggi risolta la questione, ma il parallelo con il delicato caso dell’Iran è inevitabile, oltre che di stretta attualità. Pur essendo firmatario dei trattati di non proliferazione, il Brasile ha opposto una notevole resistenza alle ispezioni dei suoi impianti, trincerandosi dietro il segreto industriale.

I tecnici del programma brasiliano sostengono che le centrifughe sviluppate in casa sono le più moderne del mondo, 25 volte più efficienti di quelle in uso negli Stati Uniti e in Europa. Dopo un lungo tira e molla, l’Aiea ha effettuato ispezioni lo scorso anno, accettando che i brasiliani coprissero le macchine con schermi opachi e limitandosi a controllare il processo.

Superati i dubbi tecnici sono rimasti quelli di opportunità politica, proprio a causa della questione iraniana. Brasilia dichiara intenzioni non dissimili da quelle di Teheran. Parla di fini pacifici, nega l’obiettivo di arrivare alla bomba e sostiene che i propri impianti sono in grado di arricchire l’uranio-235 a meno del 5%, ben lontano dal 95% necessario per costruire una testata nucleare. Ovviamente la comunità internazionale guarda ai due casi con occhi diversi. Nella sua storia il Brasile ha combattuto la sua ultima (e unica) guerra nel 1866, contro il piccolo Paraguay e il Sudamerica non è l’area più calda del pianeta. Il sogno della bomba venne accarezzato negli anni Settanta, ma si era in pieno regime militare. Due anni fa gli Stati Uniti, per bocca di Colin Powell, si sono detti «certi» sulle intenzioni pacifiche del programma brasiliano.

L’obiettivo dell’autosufficienza atomica suscita dubbi residui in alcuni osservatori perché il governo Lula ha appena annunciato trionfalmente la fine delle importazioni di petrolio, un obiettivo inseguito per 43 anni. Una certa idea di grandeur continentale è probabilmente parte della vicenda. Il Brasile insegue caparbiamente un posto del consiglio di sicurezza dell’Onu. E il recente smacco con la nazionalizzazione del gas boliviano ha dimostrato invece quanto le pretese di leadership regionale restino fragili.

Fonte:
Corriere della Sera
Rocco Cotroneo