America Latina/ Il Brasile detta il passo in Sudamerica

03/10/2008

Il Brasile è il primo della classe, il "secchione" del gruppo. La leadership del paese Sudamericano esce rafforzata politicamente ed economica dal vertice che si è tenuto a Manaus, il più importante centro urbano dell’Amazzonia brasiliana. L'incontro bilaterale previsto da tempo per firmare una serie di accordi  si è allargato trasformandosi in un “mini vertice” latinoamericano. Che ha decretato il ruolo di primordine del Brasile nella regione. Lula è riuscito in due anni a risalire la china, in popolarità e dal punto di vista economico. Il paese si è risollevato, le previsioni di crescita per il 2008 sono pari al 5,5%, è diminuita la disoccupazione e grazie ai programmi sociali 45 milioni di poveri riescono ad andare avanti.

noltre l'ex sindacalista si è imposto sulla scena internazionale come un mediatore efficace. Ha riportato la pace in Bolivia, che ha rischiato il collasso politico e sociale, mente il suo omologo Chàvez incitava a usare il pugno duro contro i nemici della "rivoluzione bolivariana". Il segreto del successo di Lula? La discreazione e la modeazione.

All’incontro tra il capo di Stato Luiz Inácio Lula da Silva e il suo collega venezuelano Hugo Chávez, si sono aggiunti il presidente boliviano Evo Morales e quello ecuadoriano Rafael Correa. I leader di Brasile e Venezuela hanno firmato una serie di accordi in ambito agricolo e alimentare, petrolifero e industriale, ma il tema dominante è stato la crisi finanziaria che ha travolto il mercato statunitense e le sue ripercussioni sugli altri paesi.

Entrambi hanno espresso la speranza che gli Usa possano trovare una soluzione. Una risposta “per il bene del mondo” ha sottolineato Chávez, che ha anche proposto una riunione del G8 che valuti le possibili vie d’uscita. Lula, che alla vigilia dell’incontro aveva sostenuto che i paesi in via di sviluppo non dovevano essere vittime del “casinò finanziario” creato dagli Usa, ha detto di “tifare” per gli States: “Anche noi siamo a rischio, perché una recessione mondiale potrebbe pregiudicarci, anche se il nostro sistema finanziario è solido”.

Per Chávez il modello economico statunitense è un “malato terminale”, per colpa del neoliberalismo, e le conseguenze della crisi investiranno inevitabilmente tutti gli altri paesi perché si tratta di un crack “peggiore di quello del 1929”. Duro sulla risposta degli Usa alla crisi Evo Morales: “In Bolivia nazionalizziamo perché il popolo abbia denaro, mentre negli Stati Uniti vogliono nazionalizzare il debito dei ricchi”.

Il leader venezuelano è invece tornato a “premere” sul Banco del Sur, sulla carta “nato” da mesi, ma “per un problema tecnico, burocratico, non ancora in grado di ricevere i nostri depositi internazionali, le nostre risorse per gli investimenti”. I quattro presidenti hanno anche discusso dei progetti infrastrutturali che dovrebbero collegare buona parte della regione, ovvero i due “corridoi” amazzonici, quello fluviale e quello stradale.

 

Fonte:
Affari Italiani