Vinitaly scaccia la crisi: boom di vendite estere

02/04/2009

Verona. Nel 2008, annus horribilis per l’economia mondiale, con i Pil in calo sotto i colpi della crisi finanziaria, il vino italiano non solo ha tenuto in termini di volumi e fatturato, ma nel complesso ha migliorato la sua performance. E per il 2009, in cui l’onda lunga della recessione continuerà a minacciare i consumi, i produttori non disperano. I mercati esteri sono sempre più interessati al prodotto italiano, mentre su quello nazionale, pur condizionato dall’incombente proibizionismo, si rilevano ampi spazi di crescita e la conferma della tendenza dei consumatori italiani a bere meno ma meglio.

È questo il quadro del settore che emerge da una serie di ricerche promosse dal Centro Studi di Veronafiere che, con il titolo “La crescita continua”, verrà presentato oggi, giorno di inaugurazione del Vinitaly, che insieme al Sol (Salone internazionale dell’Olio) e ad altri eventi collaterali, è in programma alla Fiera di Verona fino a lunedì. La manifestazione, che con oltre 4.200 espositori e una media annua di 150 mila visitatori specializzati provenienti a oltre 100 Paesi, si conferma la prima rassegna al mondo nel settore vitivinicolo, si apre con alcuni segnali positivi. Le pre-adesioni degli operatori esteri, ad esempio, sono aumentate del 50% rispetto allo scorso anno, quelle degli italiani del 20%. Né a Verona né nell’hinterland della città scaligera, inoltre, è possibile trovare una camera libera negli alberghi. E in Fiera, nonostante l’ampliamento della superficie espositiva, la lista d’attesa per gli aspiranti espositori è ancora lunga.

Lo scorso anno le esportazioni di vino made in Italy hanno fruttato al Paese la cifra record di 3,6 miliardi, il 2% in più rispetto all’anno precedente. E, secondo gli studi più recenti, a breve-medio termine (cinque anni) ci sono ancora margini di crescita, soprattutto in alcuni Paesi. Cina, Messico, Brasile, Germania e Regno Unito, per esempio, sono i più promettenti per i vini base. Ma Germania e Brasile sono anche interessati alla fascia dei popular premium, come pure Norvegia, Canada e Paesi Bassi, mentre la Russia si configura come mercato emergente per le fasce di prezzo più elevato, sia il segmento premium (dove si posizionano Hong Kong, India, Singapore, Usa) sia super premium, le etichette più costose, dove spiccano anche Hong Kong, Cina e Svizzera.

In Italia le statistiche dicono che il consumatore è più interessato alla qualità che alla quantità. «Nel 2008 – osserva Giovanni Mantovani, dg di Veronafiere – anche nella grande distribuzione, dove il vino vale 1,3 miliardi di euro, è aumentata (+4,3%) la propensione all’acquisto dei vini a denominazione d’origine, con una crescita sensibile (+16,4%) di quelli che costano più di 5 euro. A differenza di quanto si immaginava dagli studi emerge che quello italiano non è un mercato maturo: sette italiani su 10 dichiarano di non essere ferrati in materia, mentre uno su quattro chiede corsi gratuiti di avvicinamento al vino, uno su due ritiene indispensabile un’educazione corretta al consumo e almeno due su tre chiedono campagne a favore del consumo di qualità».

L’unica voce che nel 2008 ha registrato un netto calo è quella del consumo di vino in ristoranti e winebar. Effetto più delle misure sul tasso alcolemico per chi guida che non della crisi economica. In generale, tre locali su quattro, soprattutto al Nord (86%) registrano una contrazione dei consumi. Più forte l’impatto sui ristoranti, dove il 47% dei ristoranti stima un calo nelle vendite di vino valutato fra il 20 e il 40%. Solo un winebar su tre, invece, ha visto scendere le vendite a causa delle misure anti-alcol, perché molti consumatori comprano la bottiglia per bersela a casa.

In generale, comunque, il proibizionismo sta già producendo un cambio nelle abitudini. Cresce nelle carte dei vini l’offerta al bicchiere. Nel 47% dei locali si registra già la presenza del commensale-autista che non beve. Si comincia a notare, infine, una preferenza per vini più leggeri, meno concentrati e a minore gradazione alcolica: nei ristoranti li richiede ormai un cliente su tre. Meno netta questa propensione appare in winebar ed enoteche, che pure in questo momento sono i più attivi nel proporre servizi al cliente, visto il 23% dei locali propone l’uso di taxi-navetta e il 20% mette a disposizione un etilometro e spazi di “decantazione” per rientrare nei limiti: appena uno su sei in enoteca rinuncia a un rosso corposo e strutturato per accontentarsi di un vino leggero e beverino.

Fonte:
Il Secolo XIX