Venezia, in pole Italia e Brasile

23/08/2008

Chissà che l’inedita accoppiata cinematografica Italia-Brasile non riesca a trionfare alla sessantacinquesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. E’ quello che pensano molti addetti ai lavori, che hanno individuato in Terra degli uomini rossi – Birdwatchers dell’italo-cileno Marco Bechis, una delle pellicole favorite al Leone d’oro.

Prima di lasciarvi all’interessante intervista rilasciata a Fulvia Caprara de “La Stampa” dall’attrice Chiara Caselli (nella foto in alto), una curiosità su questa ormai nota produzione italiana, dedicata alla tragedia degli indio guarani-kaiowà del Mato grosso do sul. Con l’eccezione della Caselli e della promessa mantenuta del nuovo cinema italiano Claudio Santamaria, non vi recitano attori professionisti, e la grande maggioranza degli interpreti sono indio.

Indigeni che non si limitano al ruolo di comparse, ma sono i veri protagonisti. E con queste parole il regista di Garage Olimpo e Hijos ha descritto l’illuminazione che l’ha portato a questa scelta: «Gli uomini e donne indigeni che parlavano a gran voce con le autorità di Brasília possedevano un’arte retorica sofisticata, sapevano parlare in modo convincente e controllavano le parole e il corpo in modo sorprendente.

Recitare fa parte della loro cultura millenaria. Avevo trovato gli attori che cercavo».

«Intervista a Chiara Caselli. Io, “leghista” fra gli indios del Brasile

L’attrice recita in “Birdwatchers” il film di Bechis favorito a Venezia. Dall’altra parte del mondo, in Brasile, sul Mato Grosso do Sul, dove indios e «fazendeiros» si fronteggiano ogni giorno, in un clima di tensione crescente, Chiara Caselli racconta di aver trovato echi di atmosfere ben note, atteggiamenti mentali simili a quelli di tanta parte d’Italia, «non quella bella», dice, ma l’altra, «quella delle persone che non hanno niente da temere e invece si scagliano contro gli immigrati».

Nella Terra degli uomini rossi – Birdwatchers, il film di Marco Bechis in concorso alla prossima Mostra di Venezia, che i bene informati indicano come il più probabile candidato italiano per premi importanti, la Caselli stavolta è stata attrice (unica italiana, insieme a Claudio Santamaria: tutti gli altri sono esordienti, scelti sul posto dal regista) ma anche intervistatrice e fotografa, quindi in grado di osservare la realtà da diverse prospettive.

Sullo schermo, la Caselli è la «moglie di origine italiana di un fazendeiro sulla cui proprietà si istallano gli indios». La storia racconta la ribellione di un gruppo di Guarani-Kaiowà, decisi a riavere la loro terra.

Che personaggio è il suo?

«Sono una donna convinta di essere nel giusto, che si dice appassionta della cultura degli indios. Ma, quando la terra viene reclamata da quelli cui era stata tolta, allora tutto cambia e anche in lei si fa strada un tipo di ipocrisia molto europea».

Prima del set, lei ha fatto un’indagine sul campo. Cosa ha scoperto?

«Ho girato a lungo per Dourados, una delle città principali della regione dove Bechis ha deciso di ambientare la storia. Dovevo esplorare il mondo dei bianchi. Dourados è nata negli Anni Cinquanta, è piena di centri commerciali, ma non c’è nient’altro, un microcosmo che riflette perfettamente gli avvenimenti del mondo.

Un giorno ho conosciuto una signora ricca, colta, con la casa piena di libri, madre di quattro figli, l’ho fatta parlare e, mentre discutevamo del movimento per le terre degli indios, ha sbottato: “Eh, di questo passo diventeranno più loro di noi!”. In realtà quelle persone non corrono alcun pericolo, eppure, scava scava, arrivano a considerare anche la possibilità di sterilizzare le donne indie… il tutto, sempre, ammantato di tono paternalista». 

Ha ritrovato da quelle parti scampoli di realtà italiana?

«Sì, per fare le interviste mi sono trasformata in una specie di Bossi e così, alla fine, nei vari incontri, sentivo dire le stesse cose che si sentono dire da noi. In Italia abbiamo la più bassa percentuale d’immigrazione d’Europa ma, a dispetto di questo, per populismo e opportunismo si cerca di gonfiare la questione, di far crescere il senso di paura.

Sono tecniche vecchie, la verità è che l’immigrazione non è il nostro problema più grave, ma è facile convincere del contrario le fasce più ignoranti della popolazione».

Dopo aver lavorato con registi importanti, i Taviani, la Cavani, Gus Van Sant, con la nascita di suo figlio si è tenuta un po’ in disparte. Adesso, dopo Bechis e Il passato è una terra straniera di Vicari, ha ripreso a pieno ritmo. C’è aria nuova nel cinema italiano?

«Sì, negli ultimi tempi è finalmente successo qualcosa. Il nostro era diventato un cinema frigido, adesso torna a rivedere la luce. E gli spettatori lo avvertono».

Quanto la spaventa Venezia? I film italiani sono spesso giudicati con particolare severità…

«Alla Mostra sono già stata tante volte, è divertente mettersi l’abito lungo, c’è l’emozione di presentare il proprio lavoro a una platea così importante… Quanto a critici e giornalisti, beh, credo che se un film è buono, in ogni caso riuscirà a trovare la sua strada. Un festival non può ammazzarlo»».

Fonte:
Musibrasil
(Francesco Giappichini).