Ue, il vero nodo è Lisbona
09/01/2009
Il patto è diventato più flessibile. Certo si poteva fare qualcosa in più, o farlo meglio, ma alla fine un risultato che fino a pochi mesi fa sembrava difficilmente raggiungibile è stato portato a casa. Eventuali sforamenti centesimali o comunque imputabili a spese effettuate in ricerca, sviluppo, riforme strutturale e quant’altro saranno guardati con più indulgenza. Insomma resta il paletto del 3% del rapporto tra deficite Pil, ma è un 3% più intelligente.
Il vero nodo per la crescita dell’Europa, però, resta un altro. La vera sconfitta, senza giustificazioni di sorta, porta il nome del patto siglato a Lisbona. Nel 2000, infatti, nella capitale portoghese i vertici del vecchio Continente si diedero un obiettivo alto, forse troppo, per le loro possibilità. Si disse: nel giro di 10 anni l’Europa diventerà l’economia più competitiva del mondo.
Le parole d’ordine erano: dare una spinta propulsiva alle infrastrutture europee, incentivare la ricerca e lo sviluppo, l’uso delle nuove tecnologie e la promozione del capitale umano attraverso l’istruzione e la formazione.
Tutto bello sulla carta, ma la realtà dice tutt’altro. Parla di un’economia europea in fase di stagnazione, dove i paesi che dovrebbero fare da traino, Germania, Francia e Italia sono in netta difficoltà.
Mentre per il rispetto dei conti pubblici, infatti, sono stati stabiliti dei vincoli, più o meno stringenti, per l’agenda di Lisbona non è stato fatto nulla di tutto questo. Insomma, da una parte erano minacciate delle sanzioni e dall’altra c’era solo un progetto affascinante diventato col passare degli anni pura utopia.
Sarebbe bene adesso mettere al centro dell’agenda politica dei vari Stati dell’Ue l’obiettivo della competitività. Magari individuare una strategia complessiva e non lasciare le decisioni ai singoli Paesi. Magari, ripartire proprio da un Patto di stabilità più flessibilità per puntare su ricerca, innovazione e infrastrutture. Con delle logiche improntate al lungo periodo e non più al tutto e subito.
Anche perchè senza un deciso cambio di passo l’Europa è destinata a boccheggiare. A rimanere al traino degli Stati Uniti e dei Paesi Emergenti. Insomma una vecchia e stanca Europa costretta a fare da spettatrice alle scelte prese da altri.
ALAN FRIEDMAN
28/3/2005