Troppi silenzi della Ue nella crisi del gas

09/01/2009

L’Europa ha mantenuto un silenzio fin troppo lungo sulla «Guerra del gas» scoppiata a dicembre tra Russia e Ucraina sul prezzo delle forniture.

Era inevitabile che il contenzioso avrebbe finito per coinvolgere i Paesi dell’Unione clienti di Gazprom. Il gas che ricevono dalla Russia passa per l’80% attraverso l’Ucraina. Già da stamani, molti Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno avvertito una sensibile diminuizione della pressione del gas di Gazprom avviato nelle loro pipelines .
Il silenzio può essere spiegato da un desiderio di neutralità. Da una parte, l’Ucraina è stata dichiarata dalla Ue «Paese ad economia di mercato». Ed è candidata ad entrare nel medio periodo nell’Unione. Dall’altra la Russia è stata, finora, l’affidabilissimo fornitore di gas, oltre che di greggio, all’Europa e, in particolare ai Paesi “fondatori”.
Inoltre, la Ue aveva chiesto a Gazprom di applicare ai prezzi interni (cioè politici pari 40 dollari per ogni mille metri cubi) criteri di mercato. Per questo, non può chiedergli di rinunciare ad applicare all’Ucraina prezzi di mercato per il gas che le fornisce.
Kiev dovrà pagare attorno ai 220-230 dollari ogni mille metri cubi a fronte dei 50 pagati finora e dei 240-260 che pagheranno i paesi dell’Ue quest’anno. (Ma solo 61 ne pagheranno Minsk e Baku).
Un’altra circostanza va considerata. Oltre che in Ucraina, anche nei “neo-europei” Baltici e Polonia, hanno suscitato aspre critiche i recenti accordi tra Germania e Russia sulla costruzione di un nuovo grande gasdotto sottomarino nel Baltico (il Vyborg-Greifswald), e quelli dello scorso novembre tra Russia, Turchia e Italia per il prolungamento fino all’Italia meridionale del gasdotto russo-turco Blue Stream. Entrambi bypassano Baltici, Polonia e Ucraina.
La crisi attuale Mosca-Kiev dimostra l’importanza ed utilità dei relativi accordi (russo-tedesco e russo-turco-italiano).
La Ue di fronte alla crisi del gas ha finora risposto con un pilatesco silenzio. Ora lo deve interrompere, man mano che non solo verso l’Ucraina, ma anche verso i consumatori euro-occidentali inizia a fluire meno gas. Vedremo il 4 gennaio quali passi deciderà l’Ue nella riunione straordinaria dei suoi responsabili energetici dedicata alla crisi del gas. Il ritardo, nonché colpevole, è stato notevole.
Sembrava, poco prima della mezzanotte del 31 dicembre che in extremis avessero raggiunto un accordo Gazprom e l’omologa NaftogazUkrainy. I prezzi del 2005 (per le forniture di gas come per royalty di transito) si sarebbero mantenuti per tutto il primo trimestre del 2006, per passare ai prezzi di mercato nei mesi successivi.
Nel suo ultimo intervento alla fine della scorsa settimana il presidente Putin aveva esortato le due compagnia a “trovare una soluzione su base professionale”, rinunciando a “sovrapoliticizzare” il contrasto.
Aveva proposto anche un credito russo attorno ai 3,6 miliardi di dollari, grazie al quale Kiev avrebbe fatto fronte ai nuovi, salati pagamenti.
Putin, in quell’occasione, aveva ricordato un particolare molto importante, sfuggito agli osservatori occidentali. “Una cosa è aiutare – aveva detto – i paesi ex-Urss in difficoltà per l’uscita dall’economia di piano, altra è dotirovat’ – sovvenzionare – il biznes indiano in Ucraina”.
Il capo di stato russo alludeva al passaggio avvenuto lo scorso ottobre – durante il processo di riprivatizzazione in Ucraina – della più grande acciaieria e massima esportatrice del Paese, la Kryvoryzhstal’ di Krivyi Rig (Ucraina orientale) , sotto il pieno controllo (93,02% del pacchetto azionario) di una società che fa capo al gruppo indiano Mittal Steel (del tycoon indiano Lekshimi Mittal). Con un guadagno per Kiev di oltre 3 miliardi di dollari.
Ora, il gas che l’Ucraina ha ricevuto finora da Mosca a prezzi politici, viene usato nelle principali e più energivore industrie ucraine, come la metallurgia e la chimica. Esse sono estremamente concorrenziali a livello mondiale, specie per l’export a prezzi dumping che va dall’acciaio ai concimi chimici. Una concorrenza che tocca direttamente la Russia e i suoi interessi.
Ci sembra, quindi, che gli aumenti chiesti a Kiev da Mosca non siano da interpretarsi solo come un mezzo di pressione politica. O tantomeno una “vendetta” per far scontare alla nuova leadership ucraina il suo allontanarsi da Mosca, dalla CSI, Comunità economica eurasiatica, e il suo avvicinarsi alla Nato e all’Ue (già iniziato ai tempi di Kuchma, per altro).
Una guerra commerciale complessa. Il presidente ucraino Jushenko, del resto, ha auspicato il passaggio a criteri di mercato nelle relazioni tra Mosca e Kiev. Anche in materia gas e royalty. Solo che, per il gas, il prezzo ha deciso di fissarlo lui. 80 dollari ogni mille metri cubi, usando come parametri i prezzi praticati in Ucraina per altre produzione energetiche, come carbone, greggio, torba, e per l’industria dei materiali per costruzioni. Mentre Kiev è accusata di riesportare all’estero a prezzi di mercato gas russo e turkmeno.
C’è nella questione dei nuovi prezzi un altro lato economico, non secondario.
Gazprom deve moltiplicare gli utili, considerando che i suoi prezzi interni sono ancora bloccati sul minimo (attorno ai 40 dollari) e che deve far fronti a massicci investimenti nei nuovi grandi progetti. Come la messa in valore di nuovi giacimenti (nel Mare di Barents, a Kovytka in Siberia, a Sakhalin) e come la costruzione di nuovi gasdotti, dal prolungamento di Blue Stream al gasdotto baltico Russia-Germania e a quello Russia-Cina.
Al tempo stesso, il governo russo deve incrementare anche le entrate dall’export energetico per far fronte ai quattro grandi progetti plurimilardari di interesse nazionale (casa, sanità, educazione, agricoltura).
La situazione irta di pericoli. Si può assistere nei giorni a venire ad una surenchère tra Mosca e Kiev. Per esempio, sulla base navale russa di Sebastopoli, affittata da Kiev a Mosca per 93 milioni di dollari all’anno. Intanto, Gazprom ha segnalato stamani un fatto grave. Il “prelievo” da parte ucraina di una quota di gas destinata ai paesi dell’UE. Non sarebbe la prima volta che Kiev è accusata di “rubare” il gas russo. Nei mesi scorsi i russi calcolarono l’ammontare dei “prelievi” illeciti ucraini in 7-8 miliardi di dollari. L’Europa, massimo cliente mondiale di Gazprom, è chiamata ora a compiere un intervento delicato e difficile nella contesa tra Kiev e Mosca. Dovrà, per questo, superare i contrasti sui nuovi gasdotti Russia-Europa e soprattutto mettere in primo piano i propri interessi economici, più che astrette e improduttive solidarietà.
Infine dobbiamo sottolineare due circostanze. La prima riguarda la presidenza di turno dell’UE. Essa tocca ora all’Austria, che riceve da Gazprom il 50% del proprio fabbisogno di gas. La seconda riguarda la presidenza russa del G8, iniziata ieri, e questo dovrebbe suggerire a Putin una linea di compromesso, capace di raffreddare la crisi con Kiev. Ma anche Kiev dovrebbe rinunciare all’intransigenza finora mostrata. Almeno se sono reali e sincere le sue aspirazioni europee.

Fonte:
Il Sole 24 Ore