Tiro al bersaglio sull’Italia

09/01/2009

Ormai sembra una gara a chi spara più alto. Il tutto è iniziato con i dati dell’Istat che hanno ufficializzato lo stato di recessione tecnica in cui versa l’Italia. Meno 0,4% nell’ultimo trimestre del 2004 e –0,5% nel primo del 2005: due trimestri consecutivi con il prodotto interno lordo in negativo, in pratica, e la situazione già difficile è precipitata.

Prima l’Ocse, poi di nuovo l’Istat, quindi gli avvertimenti delle agenzie di rating e l’annuncio di una procedura per deficit eccessivo in fase di lancio a Bruxelles. Dulcis in fundo sono arrivati anche i moniti dei grandi giornali internazionali che hanno paragonato l’Italia all’Argentina.

I conti, certo, non vanno, ma parlare di Roma come la nuova Buenos Aires o accostare i titoli di Stato italiani a quelli argentini caduti in default e rimborsati con cifre da miseria appare esagerato e troppo allarmistico.

Anzi. Non può avere altro effetto che quello di acuire il clima di sfiducia che già regna sovrano. E’ arrivato invece il momento di rimboccarsi le maniche. Certo le prossime elezioni non aiutano. Ma un cambio di passo può partire proprio da qui: ritrovare un clima di coesione per evitare che i prossimi 12-13 mesi si trasformino in mera campagna elettorale.

Il tempo non è molto e quindi sarebbe il caso di centrare almeno un paio di obiettivi pesanti per provare a invertire la tendenza. Il primo, ripetuto del resto da più parti, fa riferimento alla competitività delle imprese. L’Ocse ha detto che negli ultimi 4 anni la capacità competitiva del sistema Italia è calata del 25%.

Un passo è stato fatto con il decreto sulla competitività. Ma intervenire massicciamente sull’Irap, l’imposta regionale che tassa le imprese, deve essere un priorità di questo governo. Sembra nelle intenzioni: tutto sta nel trovare le adeguate coperture.

L’altro intervento non rinviabile prende spunto dalle vicende di questi ultimi mesi. Il fronte finanziario aperto più o meno dai soliti noti su Rcs, Banca Nazionale del Lavoro e Antonveneta. Operazioni speculative portate avanti dai cosiddetti immobiliaristi.

Senza voler entrare nel merito delle vicende non si può però non notare che il messaggio che arriva è sconsolante. In Italia oggi i soldi si fanno puntando sul mattone e sulle “scommesse” in Borsa. Niente di male. Se non fosse queste attività non producono beni per il Paese.

Disincentiva in pratica chi vuole investire, fare ricerca e innovazione. Alla politica trovare gli strumenti e il compito di restituire fiducia a chi in Italia ha ancora voglia di fare impresa.

ALAN FRIEDMAN
27/5/2005