Tessile e scarpe, un calvario
09/01/2009
Valore aggiunto in calo del 14,9 e del 18,9%
La crisi del made in Italy presenta un conto salato alle regioni italiane.
In particolare alla Campania e alla Lombardia, dove sono concentrati alcuni dei distretti specializzati nei settori più colpiti dalla concorrenza orientale: il tessile e le calzature. A certificare lo stato di crisi è l’ultimo rapporto di Bankitalia dedicato alle economie regionali presentato ieri. Un’indagine che conferma come sono stati il comparto dell’abbigliamento, insieme a quello del cuoio e calzaturiero, a soffrire maggiormente la perdita di competitività dell’industria manifatturiera italiana.
La débacle che si è registrata in particolare negli ultimi quattro anni. Tra il 2000 e il 2004 il calo del valore aggiunto è stato pari al 14,9% per il tessile e al 18,9% per il calzaturiero. Risultati legati al fatto che nei due settori la crescita si è interrotta a partire dal 2000. Nei due anni successivi il tasso di sviluppo del tessile-abbigliamento ha segnato un -8,8 e un -12,4% per le scarpe. Si tratta della peggiore performance nell’ambito dell’industria manifatturiera, che pure ha segnato nello stesso periodo un complessivo -1,7%.
I risultati negativi hanno poi inciso significativamente sulla quota detenuta dall’Italia nella classifica dei paesi produttori. La sintesi elaborata dai tecnici di Palazzo Koch ha ricordato uno studio che dimostra come la presenza italiana nella produzione mondiale di calzature si sia assottigliata e scesa percentualmente al 2,7% nel 2002 dal 4,8% registrato nel 1993. Un lasso di tempo in cui sono cresciuti i paesi asiatici, anche se ancora tre anni fa l’Italia era saldamente ancorata al sesto posto tra le nazioni produttrici e al quarto per i volumi esportati. A soffrire di più la massiccia invasione delle merci orientali sono stati i distretti territoriali specializzati proprio nelle produzioni legate ai tessuti e al cuoio.
´Gli effetti della concorrenza dei paesi emergenti sono stati intensi per i principali poli conciari nazionali’, afferma via Nazionale. Così per esempio in provincia di Avellino la crisi del distretto di Solofra è stata aggravata dalla circostanza che i produttori cinesi, in passato i principali acquirenti dei semilavorati irpini, sono attualmente in grado di coprire l’intera filiera. E la situazione non muta nel tessile in cui la diminuzione dei livelli di attività è stata intensa in quello lariano della seta, specializzato nella lavorazione delle fibre tessili trattate, in quello delle confezioni del Gallaratese e in misura minore in quello delle calze femminili di Castel Goffredo (Mn).
La Banca d’Italia ha evidenziato come il fenomeno della perdita delle quote di commercio internazionale sia ben lontano dal fermarsi. La pressione concorrenziale sui produttori europei tende ad accentuarsi con la progressiva liberalizzazione del commercio internazionale.
L’ultimo tassello è stata l’abolizione il 1° gennaio 2005 del sistema di contingentamento delle importazioni di prodotti tessili e dell’abbigliamento nei paesi industriali.
L’Ue non ha resistito all’urto di un’invasione di prodotti a basso prezzo in così poco tempo. La risposta per ora, in attesa di un rilancio della competitività dell’industria europea, è stata quella di chiedere l’autolimitazione dell’export alla Cina. Che nel giugno del 2005 ha sottoscritto con Bruxelles un accordo bilaterale che prevede misure temporanee di restrizione di alcuni prodotti tessili ancora fino al 2007. Resta poco tempo quindi alle aziende italiane per rimettersi in pista e tentare di riconquistare lo spazio perduto.
Fonte:
Praxa.it
Italia Oggi
Filippo Caleri