Stretta finale sul marchio europeo
09/01/2009
Il 21 giugno la Commissione Ue presenterà la sua proposta
Entra nel vivo la discussione in sede europea sull’etichettatura di origine dei prodotti. Un tema caro soprattutto al settore della moda e che però preme anche alle pmi italiane di altri comparti alle prese con la concorrenza asiatica.
Il prossimo 21 giugno, infatti, la Commissione europea presenterà ai paesi membri una proposta sul tema, da discutere quattro giorni più tardi presso il comitato che raggruppa i direttori delle politiche commerciali Ue. Sul tavolo, dunque, torna la questione della necessità di tutela delle merci europee minacciate da una concorrenza asiatica accusata di utilizzare pirateria e contraffazione come strumento di competizione. L’Italia, con il viceministro dell’economia Adolfo Urso, aveva proposto all’Unione la discussione di tre opportunità cercando di spingere sulla terza ipotesi che prevedeva l’obbligatorietà del marchio di origine in ingresso presso il territorio dell’Unione europea e l’obbligatorietà dell’etichettatura made in Italy/Ue. ´Quello che sta avvenendo è che le fortissime lobby, in particolare di quelle della grande distribuzione organizzata del Nord Europa, stanno premendo affinché le cose non cambino.
L’obiettivo è continuare a fare affari col dumping e un sistema di scorretta informazione ai consumatori’, spiega Oreste Baioni, segretario di Federmoda Cna e responsabile del comitato pmi della Cna. Un’ipotesi, questa, che danneggerebbe irreparabilmente tutte le pmi europee. In particolare quelle della moda, la meccanica leggera, l’arredo e così via. Una fetta non trascurabile, insomma, dell’economia comunitaria legata al sistema manifatturiero. Attualmente, tuttavia, si profila la possibilità di raggiungere un compromesso tra i paesi membri per arrivare all’obbligo dell’etichetta di origine dei prodotti importati in Ue, limitatamente però ad alcuni settori, come quello del tessile abbigliamento, calzature, gli accessori, la pelletteria.
In discussione anche la possibilità di inserire nel novero il comparto del legno-arredo e casalinghi. Niente da fare, invece, per tutti gli altri settori merceologici. La partita per le pmi, soprattutto italiane, è di vitale importanza. ´L’approvazione di questo regolamento permetterà di contrastare meglio la contraffazione e la concorrenza sleale, ma occorre che il governo italiano si attivi realmente per mettere in atto una campagna di verifiche non solo contro la contraffazione dei marchi ma anche per l’etichetta made in Italy, che viene applicata anche da chi non ne ha i titoli’, insiste Baioni.
Per Federmoda Cna, anzi, questa operazione andava fatta già da molto tempo. ´Inoltre è fondamentale che si intervenga con una tempestività assoluta sul costo del lavoro, abbattendo gli oneri per le aziende che hanno un maggior tasso di occupazione’, aggiunge Baioni. Sul versante europeo, intanto, molte realtà produttive cominciano a pensare di delocalizzare in Cina. ´In un mio recente viaggio in Bulgaria’, spiega Baioni, ´ho visto aziende bulgare produrre capi per la Spagna, la Francia, e anche per il cosiddetto made in Italy. La maggior parte delle aziende italiane che delocalizzano in quel paese in subfornitura hanno annunciato poi che trasferiranno le loro commesse in Cina. E questo nonostante un dipendente bulgaro guadagni solo 100 euro di salario. Sarebbe opportuno’, chiarisce Baioni, ´pensare che internazionalizzare non significhi mordi e fuggi. La rincorsa al basso costo di manodopera, barando poi sull’etichettatura, significa fare concorrenza sleale’. Attenzione a finanziare e a facilitare solo la vera internazionalizzazione, chiarisce dunque Federmoda, ovvero quella che porta ad ampliare i mercati mantenendo un sistema manifatturiero e una filiera integra in Italia. ´Chi fa certe operazioni, infatti’, conclude Baioni, ´non deve essere autorizzato a farlo con i soldi dei contribuenti italiani’.
Italia Oggi 17/6/2004
Livia Pandolfi