Sharm el Sheikh: 2 italiani morti, ansia per i 4 dispersi
09/01/2009
M. Do.
Sono due le vittime italiane accertate della strage Sharm el Sheikh. Sono stati identificati, infatti, i resti di Daniela Maiorana, moglie di Sebastiano Conti, che fino a questo momento era considerata tra le persone disperse. Secondo quanto si è appreso, a permettere l’identificazione della donna sarebbe stata la fede nuziale. Al suo riconoscimento hanno contribuito anche gli investigatori della polizia scientifica che sono partiti dall’Italia e che si sono recati in Egitto. La notizia è stata già comunicata alla famiglia dall’Unità di crisi della Farnesina.
«Fondati motivi di preoccupazione» dal ministero degli Esteri anche per la sorte dei quattro dispersi italiani. Due di questi sono il fratello di Sebastiano Conti e la sua fidanzata: le testimonianze dei turisti tornati in Italia riferiscono che i due sono stati visti in compagnia di Conti e della moglie fino a poco tempo prima degli attentati. A loro si aggiungono due giovani sorelle pugliesi, Daniela e Paola Bastianutti, le quali non danno notizie da giovedì sera, quando hanno telefonato in Italia dall’hotel Sheraton di Sharm el Sheikh. In Egitto è stata inviata dal ministero dell’Interno una squadra di esperti della polizia scientifica che ha avviato le operazioni di acquisizione dei reperti. L’Unità di crisi, in contatto con i rappresentanti italiani in loco e con l’ambasciata al Cairo, continua a verificare le posizioni dei connazionali sul posto al momento della tragedia, incrociando le liste dei tour operators, le risposte agli sms, le segnalazioni delle famiglie. Erano circa trentamila gli italiani che si trovavano nella zona al momento delle esplosioni.
Dall’Egitto, intanto, continuano a giungere notizie contraddittorie sul numero delle vittime del devastante attentato. Le fonti ufficiali egiziane confermano 63 morti accertati, mentre fonti sanitarie fissano il bilancio a 90 vittime. Non è ancora chiaro, però, a quanto ammonti il numero delle persone disperse.
Per le esplosioni di Sharm el Sheikh gli inquirenti egiziani sono alla caccia di sei cittadini pakistani. Secondo la polizia uno dei sospetti potrebbe anche essere rimasto ucciso nell’attentato. A tutti i commissariati della zona sono state distribuite foto segnaletiche dei presunti colpevoli.
Una terza rivendicazione degli attentati è stata diffusa su internet, dopo la prima delle “Brigate di Abdullah Azzam” e la seconda delle “Brigate dei Martiri del Sinai”. È firmata dai “Mujahiddin di Egitto”, una sigla finora sconosciuta. Nel testo diffuso sul Web, il gruppo afferma che «cinque persone dei Mujahiddin d’ Egitto hanno guidato cinque veicoli con esplosivi – un taxi locale, tre taxi venuti dall’ estero ed un minibus – nelle cittadelle dei Sionisti (israeliani) nel nostro Paese». «Diciamo agli ebrei ed ai cristiani che hanno 60 giorni per lasciare l’Egitto», si aggiunge nel messaggio, nel quale si sostiene che una precedente rivendicazione degli attentati è falsa. Fonti della sicurezza egiziana hanno reso noto che gli attentatori hanno utilizzato 500 chili di materiali altamente esplosivi collocati dentro due autobomba ed in una valigetta.
La prima rivendicazione. Le brigate Abdullah Azzam, sigla già apparsa in passato in seguito agli attentati di Taba dell’ottobre del 2004 e collegata ad Al Qaeda, hanno rivendicato online gli attacchi compiuti la notte scorsa nella località turistica di Sharm el Sheikh. «Brigate Abdullah Azzam, rivendicato l’attentato di Sharm el Sheikh»: è questo il titolo del documento apparso poco fa nei forum islamici in Internet. «I fratelli mujahidin delle brigate del martire Abdullah Azzam hanno inferto un duro colpo ai crociati sionisti e al regime apostata egiziano attraverso Sharm el Sheikh – si legge nella nota – colpendo gli alberghi Ghazalia nel golfo di Nama e distruggendo completamente il mercato vecchio, dove si trovavano centinaia di sionisti e crociati». Anche in questa rivendicazione si ricordano le missioni dei militari occidentali in Iraq e Afghanistan. «Nel confermare che l’operazione è avvenuta in risposta ai crimini delle forze mondiali del male che spargono il sangue dei musulmani in
Iraq, Afghanistan, Palestina e Cecenia – conclude il messaggio – noi annunciamo che non abbandoneremo la frusta del boia egiziano e non permetteremo che avvenga ciò che accade ai nostri eroici fratelli nel Sinai e promettiamo che ci vendicheremo dei martiri del Sinai, caduti sotto i colpi del tiranno egiziano». Al momento non è possibile verificare l’attendibilità di questo comunicato, nel quale le brigate Azzam si definiscono anche «Organizzazione Al Qaeda della Siria e dell’Egitto».
La stessa mano di Taba. Il ministro dell’Interno egiziano, Habib al Adly, ha ipotizzato che gli attentati di questa notte a Sharm el Sheikh potrebbero essere legati a quelli dello scorso ottobre a Taba, in cui morirono 34 persone. «Abbiamo ricevuto indicazioni che potrebbero condurre i servizi di sicurezza ai responsabili delle operazioni terroristiche», ha affermato il ministri all’agenzia Mena. «Questi elementi suggeriscono che gli attentati potrebbero essere legati a quelli di Taba», ha aggiunto. L’ipotesi del ministro è implicitamente confermata da una coincidenza non da poco: la rivendicazione è giunta da un gruppo con la medesima denominazione (Brigate del martire Abdallah Azzam) di quello che si era assunto la paternità delle stragi all’Hilton di Taba che, il 7 ottobre 2004, fece 34 morti – tra cui due italiane – e 157 feriti. Tra l’altro a Ismailiya domenica 24 luglio si aprirà il processo proprio contro i tre terroristi egiziani accusati dell’attentato contro Mohamed Sabah, 32 anni, e Mohammed Abdullah Rabaa, 28 anni, erano stati arrestati il 27 ottobre nella penisola del Sinai, presso il confine con Israele, mentre il terzo imputato, Mohamed Ahmed Fulayfel, 30 anni, è tuttora latitante e verrà processato in contumacia. Per tutti, le accuse sono di omicidio plurimo, tentato omicidio e possesso di armi automatiche.
Il processo, che sarebbe dovuto iniziare il 2 luglio scorso, era stato rinviato su richiesta degli avvocati difensori, secondo cui gli imputati erano stati torturati al fine di estorcere loro una confessione.
L’attentato in Egitto avviene in un momento molto delicato per il presidente Mubarak, considerato dagli integralisti islamici uno stretto collaboratore degli Usa, e coinvolto direttamente nel processo di pace in Medio Oriente. Per contro l’opposizione interna considera insufficienti le ultime concessioni da parte di Mubarak, e preme per avere una maggiore apertura a nuovi candidati nelle elezioni presidenziali del 7 settembre prossimo: elezioni che, per le condizioni imposte dallo stesso Mubarak, impediscono di fatto le candidature e rendono impossibile l’affermazione di qualsiasi rivale dell’attuale presidente.
Il Sole 24 Ore
25 luglio 2005