Rapporto Brasile: nuova terra promessa

15/06/2012

Ma c’e’ anche chi pensa il Brasile sia in realta’ un Fake economico, graziato dal boom dei prezzi delle materie prime ed alimentari che costituiscono 2/3 dell’export, ed in preda ad una bolla immobiliare. Di Gpg Imperatrice

 

1 – BRASILE: UN GIGANTE, TIGRE TRA I BRIC O SEMPLICEMENTE PAESE FORTUNATO IN VIA DI SVILUPPO?

Il boom economico brasiliano continua a dare i suoi frutti e, dopo avere superato l’Italia a fine 2010 ora il sorpasso è su Londra. Il Paese del samba ha il sesto Pil maggiore al mondo, con la Francia nel mirino.

Di questi tempi, questo paese, che ha una dimensioni pari quasi all’intero continente Europeo, e quasi 200 milioni di abitanti, e’ stato spesso citato come una delle tigri del BRIC, come una nazione in progressione, destinata nel lungo periodo a diventare protagonista mondiale, con Cina ed India, soppiantando le vecchie e suicide economie declinanti europee.

Ma c’e’ anche chi pensa il Brasile sia in realta’ un Fake economico, graziato dal boom dei prezzi delle materie prime ed alimentari che costituiscono 2/3 dell’export, ed in preda ad una bolla immobiliare analoga a quella che s’e’ vista scoppiare in vari paesi, e che in presenza un domani di una crisi mondiale con crollo della domanda di materie prime, e simultaneo crollo immobiliare, il Brasile verra’ giu’ come una pera.

Fatto sta che il paese resta da un lato un mix formidabile tra benessere e poverta’, con favelas vicine a quartieri borghesi che convivono nelle megalopoli di San Paolo e Rio, con vaste classi medie ed enormi quantita’ di poveri e poverissimi, con un Nord Est povero abitato prevalentemente da meticci e neri contrapposto al Centro-Sud benestante prevalentemente abitato da bianchi di origine Portoghese, Italiana e Tedesca.

2 – A COSA SI DEVE QUESTO BOOM DEL PAESE?

Sul fatto che il Paese del samba stia vivendo dal punto di vista economico il miglior periodo della sua storia nessuno sembra nutrire dubbi. E questo nonostante la crisi internazionale da cui sembra essere non solo “al sicuro” ma, anzi, tra i pochi Stati al mondo che ne sta traendo notevoli “vantaggi comparati”.

 

 

Per rendersene conto, del resto, è sufficiente leggere i principali giornali economici anglosassoni, dal Financial Times, a The Economist, passando per il Wall Street Journal e Forbes che, quasi quotidianamente, confermano il buon momento del gigante sudamericano sfornando numeri macro sempre più sorprendenti.

Dalla crescita del 7,5% nel 2010 alla disoccupazione ai minimi storici, passando per un avanzo commerciale record di 22,5 miliardi di dollari dal primo gennaio 2011, il Brasile è quindi sempre più elogiato dalla stampa “che conta”.

Come se non bastasse sia la Coppa del Mondo di calcio del 2014 che le Olimpiadi di Rio del 2016 sembra abbiano trasformato il Paese dalla patria ideale per gli investimenti speculativi “mordi e fuggi” a un’opportunità di medio-lungo periodo da non perdere.

Tutti sembrano volere investire in Brasile, che dall’agosto 2010 è addirittura diventato un creditore netto del FMI e che ha una serie di imprese a partecipazione statale che si stanno rapidamente espandendo nel resto del mondo. Ma cosa c’è dietro il miracolo brasiliano?

In primis un mix dosato di politiche monetarie e fiscali anticicliche volte all’inclusione sociale delle classi più povere, tradizionalmente escluse dal circuito dei consumi e dall’accesso al credito.

Un altro esempio: mentre negli Usa il rapporto riserve-depositi bancari oscilla tra il 3 e il 10 % e in Cina è del 15%, in Brasile era, fino al periodo pre-crisi, del 45%. E’ stato sufficiente dunque alla Banca Centrale abbassare la percentuale al 42% affinché si liberassero 69 miliardi di dollari di crediti in funzione anticiclica.

Anche per questo il Pil verde-oro nel 2010 è cresciuto del 7,5% e, nonostante la crisi mondiale, il 2011 che si sta per chiudere vedrà una crescita brasiliana almeno del 3%, mentre l’Italia è ufficialmente in recessione.

 

 

Internazionale: Le turbolenze degli ultimi mesi dovrebbe continuare in gran parte del 2012, principalmente a causa dei dubbi circa la solvibilità di alcuni paesi europei ed ai rischi di crisi sistemica. Il deleveraging del consumatore americano, gli effetti negativi sulla crescita europea proveniente dalle incertezze e il pacchetto di risanamento dei conti pubblici e l’indebolimento delle esportazioni cinesi verso queste regioni dovrebbe portare ad una moderazione della crescita mondiale.

Attività economica: La crisi internazionale esercita i suoi effetti sul Brasile in molti modi, ma forse le più importanti sono la riduzione della domanda per i prodotti esportati dal Brasile e attraverso il canale di fiducia (abbassando le aspettative degli imprenditori, limita anche il tasso di investimenti e nuovi assunti). L’effetto somma dell’effetto ritardato del cicli successivi di stretta monetaria, tra aprile 2010 e luglio 2011, con conseguente sensazione di rallentamento dell’economia brasiliana. Questa perdita di fiato, però, tende ad essere temporanea, dal secondo trimestre del 2012, l’economia tende a crescere con più forza, riflettendo i recenti tagli dei tassi di interesse e lo stimolo al consumo dato dall’aumento del salario minimo nel mese di gennaio. Occupazione e credito dovrebbe continuare a salire, anche se ad un ritmo più lento rispetto agli ultimi anni.

Inflazione: Il quadro internazionale suggerisce di disinflazione, soprattutto a causa del calo dei prezzi internazionali delle materie prime. Ma internamente, lo spazio per il calo dell’inflazione è limitato: da un lato, perché la domanda continua ad espandersi, e da un altro perché i guadagni di reddito risentono dell’aumento del prezzi dei servizi. Tuttavia, è anche essenziale prendere in considerazione lo shock negativo di prezzi amministrati. Come risultato, l’inflazione 2012 in calo ma sopra il centro del bersaglio.

 

Tassi di interesse: il Selic, è attualmente a un livello del 9,0% all’anno. La Banca Centrale dovrebbe promuovere ulteriori tagli (a un ritmo più lento), portando il tasso di interesse di riferimento al 8,25%, livello deve essere mantenuto fino alla fine del 2012. Il quadro turbolento internazionale dovrebbe mantenere l’elevata volatilità sul mercato dei cambi, con il tasso che possono presentare fluttuazioni significative intorno al livello sui 1.95 Reai per USD a fine 2012.

Bilancia dei pagamenti: La crisi internazionale peserà sui prezzi e le quantità esportate di alcuni dei principali prodotti brasiliani, portando ad una riduzione del surplus commerciale e un ampliamento del disavanzo delle partite correnti. Tuttavia, è improbabile che questo rappresenti un problema per il Brasile nel 2012, grazie al continuo accesso al credito estero (anche durante la crisi) e ingombranti riserve internazionali.

Politica fiscale: Il rallentamento economico all’inizio di quest’anno e le pressioni sulla spesa pubblica (soprattutto a causa del sostanziale aumento del salario minimo e il programma degli investimenti pubblici) può portare al governo a richiedere un aumento delle imposte per raggiungere l’obiettivo primario avanzo. Il debito pubblico dovrebbe essere ulteriormente ridotto, beneficiare l’avanzo primario, caduta dei tassi di interesse reali e ridurre la vulnerabilità al tasso di cambio.

4 – GIGANTE AGRICOLO O AMBIENTALE?

Il Brasile si presenta oggi sulla scena internazionale come una delle potenze economiche emergenti, principalmente come esportatore di materie prime derivate dall’agricoltura e dall’allevamento, attività che da almeno una ventina d’anni hanno raggiunto elevatissimi livelli di produzione. D’altra parte è progressivamente aumentata la percezione del valore, anche economico, del patrimonio naturale contenuto in questo paese dalle dimensioni continentali, in particolare riguardo a beni strategici per il futuro della terra come l’acqua dolce, la copertura forestale e la biodiversità.

 

La grandiosità della ricchezza socioambientale del Brasile è notoria: è il primo tra i paesi del pianeta come ricchezza vegetale; ospita ecosistemi unici per complessità ed estensione, che contribuiscono per ben il 28% al patrimonio delle foreste primarie mondiali e a un terzo di quelle tropicali; contiene più del 20% del flusso superficiale di acqua dolce. L’Amazzonia, “polmone verde del pianeta”, svolge un ruolo essenziale per la stabilità ambientale e climatica del Sud America e di tutto il mondo, immettendo nell’atmosfera settemila miliardi di tonnellate d’acqua all’anno e immagazzinando enormi quantità di CO2, circa il 10% del totale ritirato dagli ecosistemi terrestri.

L’interazione dell’uomo col territorio brasiliano ha tuttavia dato luogo anche a primati assai meno lusinghieri: tassi elevatissimi di disuguaglianza sociale, di povertà rurale e urbana, innumerevoli crimini violenti legati alla terra, migliaia di lavoratori ridotti in condizioni di lavoro schiavo e problemi ambientali noti in tutto il mondo, principalmente quando si parla di deforestazione.

Le enormi potenzialità di questo gigante sudamericano sono state storicamente inibite da uno sviluppo economico disomogeneo e scostante, da una fragilità strutturale che almeno fino alla fine degli anni ’90 si è manifestata sotto forma di un enorme debito estero, gravi problemi di disoccupazione, elevati tassi di inflazione e di povertà.

Una serie di misure adottate da Cardoso, e poi nel corso dei due governi Lula (2002-2010) ha portato notevoli successi in termini di rilancio dell’economia nazionale e di fiducia dei mercati internazionali, raggiungendo risultati storici come l’azzeramento del debito estero, il controllo dell’inflazione, forti tassi di crescita e una maggior apertura ai mercati mondiali. Le ragioni di questo “miracolo economico” sono, tra le altre, da ricercare nel boom mondiale dei prezzi delle commodities da esportazione (la soia e la carne bovina), nell’espansione di nuovi mercati, in primis quello cinese (che per importazioni dal paese sudamericano nel 2009 ha scavalcato quello statunitense) e nelle possibilità offerte da settori incipienti nel mercato globale come quello degli agrocombustibili e dei servizi ambientali.

 

La storia del Brasile è sempre stata marcata da cicli economici fortemente legati allo sfruttamento del suolo e delle risorse naturali. Agricoltura e allevamento in particolare sono perni centrali dell’economia brasiliana sin dai tempi coloniali e oggi questo paese si presenta sui mercati internazionali soprattutto come una superpotenza del settore agroindustriale, che contribuisce a circa un terzo del PIL, al 40% delle esportazioni e al 30% degli impieghi (AAVV, 2007). Zucchero, etanolo, tabacco, soia, miglio, mandioca, agrumi, caffé, cacao, fagioli, carne bovina, sono alcuni dei prodotti di cui il Brasile è tra i primi esportatori mondiali.

Nell’ultimo quarto di secolo il Brasile è stato un assiduo frequentatore della lista nera dei peggiori criminali ambientali del pianeta, ma è stato anche uno degli interlocutori internazionali di primo piano nelle discussioni riguardo allo stato del pianeta terra, imprescindibile quando si parla di foreste. Come pochi paesi al mondo infatti ha le caratteristiche per presentarsi come un laboratorio avanzato di ricerca scientifica e di sperimentazione politico-economica riguardo alle questioni ambientali (Duarte, 2003).

Quindi potenza agricola o ambientale? Per il momento prevale ancora la prima ed è difficile prevedere quando la seconda potrà realizzarsi compiutamente, soprattutto dopo la recentissima (25 Aprile 2012) approvazione del nuovo Codice forestale che di fatto riduce le aree protette e concede un’amnistia a chi ha abbattuto illegalmente grandi aree di foresta fino al luglio del 2008.

La possibilità di includere in modo strutturale i cosiddetti servizi ambientali nelle negoziazioni commerciali e negli accordi internazionali (tra i più citati oggi c’è la capacità della foresta di immagazzinare CO2, ma ce ne sono molti altri) sarà forse il passo decisivo perchè foreste, savane, e aree paludose non siano più considerati terreni improduttivi da colonizzare senza limiti, ma luoghi unici di produzione dell’insostituibile ricchezza del paese. Il Brasile insomma si configura ancora come una frontiera molto problematica anche se non mancano segnali incoraggianti nella società civile riguardo alla sua capacità di contenere l’indole predatoria che da sempre caratterizza l’homo economicus.

 

5 – BOOM DI IMMIGRATI DA EUROPA E STATI UNITI: LA TERRA DELLE OPPORTUNITA’

In un mondo che finanziariamente sembra andarsene in pezzi, il Brasile – grazie al suo PIL galoppante si è trasformato negli ultimi mesi in una calamita potente che attrae un nuovo, fortissimo flusso di immigrazione, aumentato nell’ultimo anno addirittura del 52%. In pole position tra questi nuovi migranti, tuttavia, la parte del leone non la fanno, come in Italia, africani e asiatici bensì giovani provenienti dalla vecchia Europa e dagli Stati Uniti, due ex aree ricche del mondo alla ricerca oramai, soprattuto tra le nuove generazioni, di salari e possibilità di crescita oramai “introvabili” in patria. In testa alle graduatorie dei neoimmigrati in Brasile, in testa ci sono gli statunitensi seguiti a ruota dai portoghesi (328 mila). Poi, a ruota arrivano i boliviani (50 mila) e gli argentini (42 mila), anch’essi attratti dall’eldorado brasiliano e alla ricerca di una vita migliore.

Non mancano ovviamente gli italiani. Tante le imprese del nostro paese presenti in Brasile, con una crescita netta del 10% registrata nell’ultimo anno secondo i dati forniti dalla Camera di commercio italiana di San Paolo. In totale quasi un milione e mezzo di immigrati legali, circa lo 0,8 dell’intera popolazione brasiliana, cui si aggiungono i clandestini che secondo le autorità doganali superano le 600mila unità.

Molti di coloro che emigrano dall’Europa, lo fanno perche’ il Brasile ha forte carenza di figure professionali medio-alte specialistiche, offre opportunita’, ha un ambiente sociale e climatico familiare ed amico e perche’ in Europa non c’è liquidità né prospettive sostenibili“.

 

Tra le concause del Boom, si citano alcune riforme introdotte da Cardoso (e confermate da Lula), una buona doze di protezionismo, disponibilita’ umane infinite di forza lavoro giovane, una certa stabilita’ politica (a differenza di molti vicini in America Latina).

6 – IL RISCHIO CHE FINISCA LA PROSPERITA E LA CRESCITA

Andiamo a vedere i rischi di fine della “cuccagna”.

In questi anni, a trainare la crescita economica sono stati infatti principalmente i consumi della nuova classe media brasiliana. E´ la cosiddetta classe C che ogni anno vede l´ingresso di nuove masse di cittadini: solo nel 2011 sono stati 2,7 milioni. E per la prima volta la classe media ha raggiunto il 54% della popolazione complessiva, circa 103 milioni di persone. Si tratta di decine di milioni di famiglie con un reddito mensile medio di 1.450 reais, circa 603 euro, una cifra molto spesso insufficiente per condurre una vita dignitosa, ma abbastanza per spingere i consumi. Che tuttavia potrebbero subire una battuta d´arresto visto che le famiglie brasiliane sono sempre più indebitate.

Il timore di molti analisti è che quando la spinta fornita dai consumi si esaurirà, l´economia possa frenare bruscamente. Per uno sviluppo di lungo periodo è infatti necessaria un´industria che possa generare reddito e posti di lavoro. Eppure i dati degli ultimi mesi indicano che il contributo dell´industria al Prodotto interno lordo è in lento ma costante calo.

Varie sono le cause.

L’industria non cresce e aumenta la preoccupazione tra economisti ed imprenditori sul futuro dell´economia verdeoro. Perché se è vero che negli ultimi anni il Brasile ha vissuto un vero e proprio boom economico, sono invece molte le incertezze sullo sviluppo industriale a medio termine.

 

L´apprezzamento del real è uno dei fattori più rilevanti, al quale vanno aggiunti l´elevata imposizione fiscale e il costo del lavoro in continuo aumento. Grazie ad una moneta forte, il potere d´acquisto dei brasiliani è salito, così come sono aumentate le importazioni. Di pari passo sono cresciuti, come detto, anche i consumi grazie al miglioramento dei salari, che tuttavia hanno subito un incremento proporzionalmente maggiore rispetto alla produttività. Oltre alla manodopera, ad incidere sui costi è anche l´elevato prezzo dell´energia elettrica: il Brasile è il terzo Paese più caro al mondo.

Anche la carenza di infrastrutture (autostrade insufficienti, trasporto su rotaia praticamente inesistente, porti e aeroporti sovraccarichi) rende ancora più difficile l´espansione industriale. Un capitolo a parte infine lo meritano le tasse. Gli imprenditori sono sul piede di guerra e chiedono al governo sgravi fiscali e misure di incentivo, anche perché i soldi pubblici sono spesso male amministrati e non vengono investiti dove servirebbe, alimentando così il circolo vizioso: infrastrutture carenti costringono l´industria a procedere con il freno a mano tirato.

La presidente Dilma Rousseff si è impegnata di recente, a prendere tutte le misure necessarie per difendere l´industria nazionale: “Dobbiamo abbassare le tasse e le abbasseremo” ha affermato la Rousseff che poi ha garantito maggiori investimenti statali e si è detta pronta a prendere tutte le contromisure per fermare “l´ondata di liquidità” internazionale. La presidente nega, ma nuove misure protezionistiche potrebbero essere in arrivo.

Come gia’ detto resta estremamente pericoloso l’eventuale crollo dei prezzi delle materie prime e dell’alimentare, che potrebbe avvenire in caso di crisi mondiale, causando un ridimensionamento delle esportazioni, ed innescando la fine della bolla immobiliare.

 

CONCLUSIONI

Vivendo da diversi mesi a San Paolo, in Brasile, penso che questo paese sia realmente una grande nazione.

Non credo troppo alle tesi catastrofiste, e credo che il Brasile continuera’ a crescere nei prossimi anni, anche se non necessariamente a ritmi cinesi. In fondo questo paese e’ molto giovane ed e’ ancora molto dietro come ricchezza alle nazioni occidentali (ha un PIL procapite pari a circa il 30-35% di quello Europeo).

Sono verissime tutte le cause di rischio sopra esposte, ma nessuna di queste e’ in grado nel breve e medio periodo di mandare il Brasile a gambe all’aria, a mio avviso.

Ovviamente la crescita non sara’ eterna, ed il paese, rischia tra qualche lustro di ritrovarsi con una serie di problemi da affrontare, simili a quelli che vive oggi l’Europa o gli USA.

Comunque…. finche’ la barca va, tu lasciala andare!

 

Fonte:
Trend Online