PITTORESCA – Ermanno Stradelli e il suo spirito wai mahsu

16/12/2022

La vita e l’opera del conte italiano che nel XIX secolo penetrò nella foresta amazzonica e difese l’eredità indigena ha suscitato negli ultimi anni l’interesse dei ricercatori

L’interesse per la figura del conte italiano Ermanno Stradelli (1852-1926) è cresciuto negli ultimi anni. O meglio, non solo quella dell’aristocratico, ma soprattutto quella dell’esploratore, antropologo, etnografo, fotografo, giurista e wai mahsu. Il pluralismo attorno al nome dell’italiano era già stato descritto nell’opera nientemeno che di Câmara Cascudo, uno dei più grandi folcloristi brasiliani – “Em Memória de Stradelli” (1936). Quasi completamente dimenticato per decenni, nel 2016, con l’uscita della raccolta di saggi “A Única Vida Possível”, il mito Stradelli è tornato a essere venerato da ricercatori e fotografi del settore a 90 anni dalla sua morte, con eventi in suo onore e creando dibattiti sul loro lavoro.

Curato da Livia Raponi, addetta culturale del Ministero degli Affari Esteri italiano e, all’epoca, vicedirettore dell’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo, il libro, firmato da studiosi brasiliani e italiani dei più diversi ambiti, è il materiale più completo della vita e dell’opera del conte di 27 anni che lasciò Piacenza, in Emilia Romagna, per pura curiosità nel 1879 si addentrò nella giungla amazzonica e vi morì, povero e solo, 47 anni dopo, vittima di lebbra.

Indiani Apurinã di Ermanno Stradelli, 1887-1889 / Collezione Società Geografica Italiana / Riproduzione

L’inizio e la fine del viaggio di Stradelli possono essere descritti come qualcosa di comune tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento: qualcuno legato alla nobiltà europea che finanziava viaggi avventurosi nelle Americhe o in altri continenti “esotici” alla ricerca delle più svariate ricchezze (in fauna, flora e altro) da portare in Europa. I rischi, che erano alti, potevano sfociare in un finale tragico, data la pericolosità del viaggio (scontri con le etnie locali, difficoltà geografiche o climatiche, malattie).

A differenza dei suoi connazionali, Stradelli ha optato per il versante opposto: appassionato di Amazzonia e di cultura indigena, non era un esploratore convenzionale: invece di rubare esemplari dalla foresta e intervenire nella cultura locale, si è limitato a osservarla per capirla . Convinto critico della cristianizzazione degli indios dell’Alto Rio Negro, la regione amazzonica in cui si trovava, Stradelli si scontrò anche con un altro italiano, il frate francescano Giuseppe Coppi, negli anni Ottanta dell’Ottocento: Coppi e altri due missionari furono responsabili di un rivolta indigena penalizzando con la morte donne e bambini indigeni che osavano guardare la maschera di Jurupari, considerata dai cristiani come demoniaca. Tuttavia, la leggenda di Jurupari è uno dei riti più forti coltivati ​​da diverse etnie nell’Alto Rio Negro e, pertanto, fu difesa da Stradelli per la sua importanza culturale in quelle comunità.

Una raccolta di saggi su Stradelli uscita nel 2016 ha suscitato negli ultimi anni l’interesse degli studiosi per la sua eredità / Riproduzione

Non c’è da stupirsi che ancora oggi l’italiano sia visto dai Tukano come un “wai mahsu”: uno spirito materializzato dotato di poteri speciali. Tra i suoi “poteri”, c’è la capacità di riprodurre immagini su carta in pochi minuti. La fotografia delle popolazioni indigene al confine tra Brasile, Colombia e Venezuela – che, tra l’altro, Stradelli aiutò il governo brasiliano a delimitare – è tra le sue più grandi realizzazioni, inedite a quei tempi. Oltre agli indigeni e alle loro tribù, il conte registrò anche altri fatti dell’epoca, come i villaggi lungo il fiume, l’estrazione della gomma, famiglie brasiliane dall’estremo nord del paese, indigeni con abiti da “uomo bianco” e il record dei primi contatti tra spedizionieri bianchi e crichanás (waimiri-atroari). Alcuni di questi ritratti sono stati esposti nel 2016, durante l’uscita della collezione Raponi a San Paolo e restituiti al pubblico nel 2019, a Rio de Janeiro.

Un mito nella cultura indigena, ma anche in quella dei bianchi: per la sua eredità antropologica, Stradelli è uno dei nomi più emblematici della scienza italo-brasiliana del secolo scorso. Uno dei suoi più grandi contributi all’umanità fu la creazione di un dizionario in Nheengatu, la lingua indigena universale dell’Alto Rio Negro, da lui appresa durante i suoi contatti con gli indigeni. Con ripercussioni in Europa, forse, il dizionario fu una delle pochissime conquiste del conteggio portate dagli indiani agli europei di quel tempo.

Immagine di copertina: Ermano Stradelli / Divulgazione

BRUNA GALVÃO è una giornalista specializzata in Italia / pittoresca.it@gmail.com