Occupati: +0,8% a gennaio
09/01/2009
Rallenta moderatamente, ma è sempre positiva, la dinamica del mercato del lavoro italiano, che si conferma in controtendenza con la stagnazione dell’economia. La rilevazione Istat di gennaio 2004 mostra un incremento tendenziale pari allo 0,8%, in contenuta flessione rispetto allo 0,9% e all’1,0% delle precedenti rilevazioni di ottobre e luglio. Si tratta, in ogni caso, di un risultato favorevole, tenendo conto che il Pil è aumentato di appena lo 0,1% annuo nel corso del quarto trimestre 2003 e che le stime per il primo quarto del 2004 non sembrano granché migliori.
Resta significativo inoltre, in tale contesto, il contributo dell’occupazione dipendente a tempo pieno e durata indeterminata, che è superiore nella crescita dei valori assoluti a quella cosiddetta atipica (a termine e part time), mentre è poco rilevante l’apporto del lavoro autonomo. Per grandi settori l’aumento degli occupati si concentra invece, come di consueto, nel terziario dipendente (commercio e servizi alle imprese), e torna in moderata flessione l’industria manifatturiera; è di nuovo consistente, per contro, la spinta di edilizia e costruzioni, dove l’espansione della domanda di lavoro si è rivelata piuttosto sostenuta. La disoccupazione, infine, continua a calare, un segnale che consolida il quadro positivo.
Dopo i brillanti risultati del triennio 2000-2002, anche nel 2003 le quattro periodiche indagini Istat sulle forze di lavoro, condotte a cadenza trimestrale (gennaio, aprile, luglio e ottobre), hanno confermato la favorevole situazione del mercato del lavoro italiano, mettendo in evidenza una nuova significativa crescita del numero degli occupati, nonostante il forte rallentamento ciclico nel frattempo registrato.
La dinamica dell’occupazione, innanzitutto, è senza dubbio rilevante in rapporto alla notevole decelerazione dell’attività economica: le variazioni tendenziali annue da aprile (+1,4%) a luglio (+1,0%) e ottobre (+0,9%), pur in frenata, si confermano abbastanza sensibili e continuano a mostrarsi molto elastiche rispetto al Pil, in crescita appena sopra lo zero nello stesso periodo.
L’aumento dei posti di lavoro riguarda in prevalenza gli occupati dipendenti ed è soprattutto dovuto, nella seconda metà dell’anno, ai contratti a tempo parziale e a quelli a termine, mentre si riduce ulteriormente la disoccupazione, che è scesa all’8,5%, il livello più basso degli ultimi dieci anni.
A differenza di quanto avvenuto nel recente passato, nel corso del 2002-2003 l’espansione ha interessato in misura rilevante l’occupazione dipendente a tempo indeterminato, mentre quella temporanea ha rallentato il proprio ritmo di crescita, sia in termini relativi che assoluti. Nell’ultima rilevazione di ottobre, in particolare, si consolida l’aumento degli occupati permanenti a tempo pieno e tornano a crescere sensibilmente quelli a tempo parziale e a termine. Siamo in presenza, in altre parole, di un processo di “ricomposizione” delle forme contrattuali nei rapporti di lavoro, spiegabile in primo luogo con situazioni di pieno impiego ormai raggiunte nelle regioni settentrionali e in alcune aree del centro.
Nel corso del 1998-2003 la diffusione di forme contrattuali flessibili ha, infatti, contribuito notevolmente alla crescita dell’occupazione complessiva, mentre è proseguito il calo del tasso di disoccupazione a un ritmo abbastanza spedito nel suo più recente andamento (da mezzo punto a un punto percentuale all’anno a partire dall’inizio del 1999). Secondo le quattro rilevazioni trimestrali Istat del 2003, inoltre, l’aumento medio del numero di persone occupate è pari all’1,0% in termini annui, che equivale a 225mila unità lavorative nei valori assoluti. La crescita è avvenuta, soprattutto, nelle attività terziarie, ma anche l’industria ha dato un significativo contributo, a cominciare dalle costruzioni. L’agricoltura, come di consueto, ha continuato a perdere occupati.
L’occupazione italiana, in particolare, incomincia ad allungare il passo a partire dall’inizio del 1998 con l’adozione del pacchetto Treu, che favoriva l’utilizzo di forme di lavoro a termine e a tempo parziale. Da allora, infatti, la quota dei lavoratori impiegati a part time sul totale dei dipendenti è passata dal 7% a circa il 10% nell’intera economia, arrivando a oltre il 12% nel settore terziario privato. L’incidenza del lavoro a tempo ridotto è ovviamente maggiore tra le donne, dove raggiunge il 18% dei dipendenti, sei volte la quota degli uomini. Ed è proprio la componente femminile che spiega gran parte della nuova crescita dell’occupazione, una tendenza del resto in linea con quella delle economie avanzate.
I lavoratori a tempo determinato sul totale dei dipendenti salgono a loro volta, negli ultimi quattro anni, dal 7% a oltre il 10% se si escludono gli addetti all’agricoltura e al settore turistico-commerciale, dove è sempre stata alta l’incidenza dei lavoratori stagionali. Più elevata è, inoltre, la quota delle donne con contratti a termine e, soprattutto, quella dei giovani con meno di trent’anni, che raddoppia rispetto alla media degli occupati. Ma è significativo anche l’aumento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno, la cui dinamica nel corso del 1999-2003 ha chiaramente beneficiato della complessiva maggiore vivacità del mercato del lavoro. Su questo risultato hanno, poi, influito gli incentivi (credito d’imposta) introdotti dalla Finanziaria 2001 per i nuovi occupati a tempo indeterminato e in seguito parzialmente confermati.
La crescita, sempre a passo spedito anche se si esclude la componente di lavoro più o meno sussidiato con fondi pubblici, è costante e la si rileva anche nei valori destagionalizzati a confronto con i trimestri precedenti, almeno sino alla battuta d’arresto nella seconda metà del 2003. Si tratta, in ogni caso, di una buona ripresa, trainata dal settore terziario, in particolare dai servizi alle imprese e alle famiglie, ma anche dalla grande distribuzione e dalle comunicazioni, che compensano ampiamente il declino sempre in atto dell’agricoltura, del commercio autonomo e la complessiva stagnazione dell’industria, con l’eccezione, però, delle costruzioni in sensibile recupero.
La progressiva diffusione dei contratti cosiddetti “atipici” (a tempo determinato, part time, collaborazioni continuative, formazione lavoro e così via) ha ormai assunto, dunque, un ruolo di rilievo nella dinamica dell’occupazione, pur avendo un peso ancora piuttosto ridotto nella sua struttura. Se i rapporti di lavoro in essere sono, infatti, nella larga maggioranza regolati dai vecchi contratti a tempo determinato, una quota importante dei nuovi entrati nelle imprese (pari a circa la metà) è passata attraverso le assunzioni atipiche.
Il ruolo dei rapporti di lavoro “flessibili” è particolarmente significativo, per esempio, nel settore terziario, la cui vivace dinamica di assunzioni riflette il decollo in atto del variegato comparto dei servizi alle imprese e alle famiglie, a cominciare dalle attività del terziario avanzato (con relativa riallocazione di posti di lavoro dall’industria e dal terziario tradizionale) fino ai servizi professionali. Il totale degli addetti in queste attività è largamente superiore al milione di unità, con un aumento che nell’ultimo quadriennio ha raggiunto i 300mila occupati. Il balzo in avanti del nuovo terziario, anche in un contesto di debole crescita economica, ha avuto per effetto un sensibile aumento dell’occupazione, essendo i servizi alle imprese e alle persone strutturalmente caratterizzati da un elevato contenuto di lavoro sul valore aggiunto.
La strada imboccata negli ultimi anni, con l’avvio di politiche di flessibilità nel mercato del lavoro, va dunque nella giusta direzione di marcia. La risposta delle imprese è positiva e può ancora migliorare in uno scenario di consolidamento della crescita economica; segno che l’abbattimento della disoccupazione è possibile e la flessibilità, attraverso la diffusione di tipologie contrattuali meno vincolanti per le imprese, può esserne lo strumento determinante. E’ bastato, infatti, l’inizio di una riforma del mercato del lavoro, volta a liberalizzare i contratti a tempo determinato o parziale, per far risalire l’elasticità dell’occupazione rispetto alla dinamica del Pil ai valori più alti degli ultimi tre decenni. Sulle prospettive a medio termine dell’occupazione potranno avere, infine, un ulteriore effetto positivo le nuove misure di riforma (legge Biagi) recentemente varate.
Il Sole 24Ore 30 marzo 2004