Non c’è crescita con un debito così alto

09/01/2009

Multiutility locali: un caso esemplare di ostilità alle privatizzazioni. L’analisi di Franco Morganti.

Ha cominciato a circolare ieri la bozza del Dpef 2006-2009, che preannuncia dismissioni per 45 miliardi di euro in tre anni, con il debito che sale al 108,2% del Pil a fine 2005. Stiamo ballando sul Titanic. A fine maggio avevo proposto su queste colonne un’interpretazione diversa del nostro problema nazionale: non è che il debito non scende perché non riusciamo a crescere.

Non riusciamo a crescere perché siamo troppo indebitati. L’ex ministro Guarino aveva detto la stessa cosa nei medesimi giorni, proponendo un taglio del patrimonio di 400 miliardi. Lunedì si è aggiunto Giovanni Tamburi dalle colonne di Affari Finanza di Repubblica, proponendo un taglio di 200 miliardi, molti dei quali annidati nelle aziende municipalizzate. Il Dpef si limita a una peccetta di 15 miliardi all’anno e punta invece sulla crescita. Ma quale crescita se col debito attuale gli interessi passivi saliranno a 75 miliardi l’anno, ammesso che i tassi restino così bassi? Dove troviamo i soldi per gli investimenti? E se i tassi aumentassero?

In realtà dalla periferia arrivano le notizie dettagliate di questo trend ostile alle privatizzazioni. Dopo aver faticosamente privatizzato il 70% dell’Enel, è in corso una progressiva ripubblicizzazione dell’energia elettrica attraverso le multiutility locali, considerate di gran moda benché si sia capito da tempo che nel modello multiutility non ci sono sinergie, tranne che fra elettricità e gas. Quali sono infatti le sinergie fra acqua, gas e rifiuti solidi o, peggio, fra tutte queste e telecomunicazioni?

Eppure Hera a Bologna sta progressivamente gonfiandosi e ora si fonderà con Meta, mentre Aem, ancora governata dal Comune di Milano, minoritario ma maggioritario per manipolazioni statutarie, sta per lanciare, insieme a Edf, un’Opa su Edison, roccaforte privata, che si era comperata Edipower da Enel quando appunto si usava ridurre l’area pubblica attraverso le privatizzazioni. Nei suoi obiettivi c’è anche il 20% di Atel in Svizzera, dal 5% attuale. Alla quale Opa dovrebbero anche partecipare la Set, della provincia di Trento, che recentemente ha rilevato da Enel la rete di distribuzione elettrica, insieme ad altre municipalizzate di Mantova e di Bolzano. Scopo finale dell’operazione sarebbe il controllo sulle tre centrali che Edison possiede nella provincia di Trento. Come se col 10% della Newco Delmi la suddetta provincia potesse immaginare di esercitare qualche controllo operativo, di fronte a colossi come Edf e Aem.

Ma anche la logica di gestire una rete di distribuzione locale, sfugge. Quali economie di scala negli acquisti dai fornitori? Almeno Amga a Genova e Aem a Torino stanno per fondersi in un’ottica sì di rafforzamento dell’area pubblica, ma almeno di aumento della massa critica.
Come tutti sanno, le tariffe elettriche sono stabilite dalla Borsa elettrica e dall’autorità Aeeg.

Forse i cittadini si aspettano dai loro sindaci o dai presidenti delle loro provincie di avere tariffe di favore per particolari fasce sociali o grandi piani di sviluppo. O almeno così gli hanno fatto credere. La domanda è: perché questi amministratori locali, dotati di grandi risorse, dopo aver assolto tutti i loro compiti istituzionali, non si comperano azioni Enel o Eni, che assicurano loro un rendimento vicino al 20%?
Realizzerebbero il loro disegno strategico di riportare sotto l’egida pubblica ciò che era stato privatizzato, ma almeno coi rendimenti che corrispondono a una gestione economica. Però questo certo non gli darebbe abbastanza posti nei consigli di amministrazione.

Se potessimo attribuire questo trend a una parte politica saremmo felici. Ma purtroppo sia il governo, presunto liberista, che le amministrazioni locali, prevalentemente di sinistra, partecipano al banchetto. Del resto la devolution della destra era stata preparata dalla modifica del capo V della Costituzione, voluta dalla sinistra. E il concetto di sussidiarietà è stato astutamente aggirato: non più evitare di fare al centro tutto ciò che economicamente si può fare in periferia, ma fare in periferia tutto ciò che economicamente si può fare solo al centro.

Forse ha ragione la Lega Nord. Bisogna tornare alla lira. Così farà più impressione sapere che il nostro debito, espresso in lire, fa 3.000.000.000.000.000.
franco_morganti@libero.it

Il Sole 24Ore
7 luglio 2005