Ma il gigante latinoamericano assiste alla ritirata degli italiani
09/01/2009
BRASILIA • La ritirata degli italiani. Con il collasso di Cirio e Parmalat, paradossalmente due gruppi operanti proprio in uno dei settori, l’agroalimentare, dove il Brasile sta ottenendo i successi più significativi, la presenza italiana nella maggiore economia latinoamericana rischia un brusco ridimensionamento.
Se a questo si aggiungono le intenzioni dell’Eni di vendere una parte consistente delle sue attività nel Paese (distribuzione di gas liquido e stazioni di servizio) e la cessione delle attività brasiliane da parte di Bnl, ultima banca italiana rimasta dopo l’uscita di Intesa dal Sudameris, si completa un quadro di vistoso arretramento.
Dei grandi gruppi italiani finora operanti in Brasile, restano in prima linea soprattutto Fiat (primo produttore di auto locale) che però, per le difficoltà della casa madre, ha ridotto il perimetro di azione all’automobile, e Pirelli-Telecom. La prima con una presenza di successo nel Paese da oltre settant’anni, la seconda fra i leader di mercato nella telefonia mobile, ma impantanata in una diatriba legale con il socio brasiliano Opportunity nella telefonia fissa di Brasil Telecom. A corona, una serie di altri gruppi di dimensioni medio-grandi, da Ferrero
a Radici, a Impregilo.
Ma è chiaro che il Brasile non sembra più essere una priorità per gli investimenti diretti di molte aziende italiane, stretto com’è fra l’instabilità macroeconomica degli anni passati e l’incertezza normativa attuale su molti settori. Per non parlare dell’attrazione esercitata sui nostri operatori dai vicini Paesi dell’Est europeo.
Nella comunità economica italiana di San Paolo viene vista con particolare preoccupazione l’uscita definitiva delle banche (restano solo tre uffici di rappresentanza),
anche se la banca privata brasiliana Unibanco, che ha rilevato la Bnl do Brasil, ne ha assorbito una parte del personale e creerà un desk italiano proprio per gestire i rapporti con le imprese del nostro Paese.
Nel momento in cui scema l’interesse dei grandi gruppi, ma c’è invece una certa attenzione al Brasile da parte di imprese medie e operatori di nicchia, sarebbe cruciale – dicono a San Paolo- poter contare, come avviene per i concorrenti esteri, sul sostegno del
sistema bancario italiano: proprio perchè questo tipo di imprese è quello che maggiormente necessita del contatto con la banca “di casa”.
«In un certo senso il calo della presenza italiana fa scalpore — dice EDOARDO POLLASTRI, che rappresenta in Brasile il gruppo Fossati ed è presidente della Camerca di Commercio Italo-Brasiliana — perchè se c’è un momento favorevole all’investimento in Brasile (sono qui dal 1975 e credo di poterlo dire) è questo, con la grande vitalità del commercio anche nei confronti dei mercati più dinamici, come la Cina e l’India».
IL Sole 24 Ore Alessandro Merli