L’ultima partita di Fiat

09/01/2009

Fumata nera per Fiat e Gm. L’accordo tra le due case automobilistiche sull’opzione put non c’è stato, ma i giochi restano ancora aperti.

Al centro del disaccordo come tutti sanno il rifiuto del gruppo di Detroit di esercitare l’opzione put, una clausola (inclusa nel master agreement del marzo 2000) che permette a Fiat di obbligare gli americani di Gm a acquistare il 90% di Fiat Auto. Ma a Detroit non ci stanno perché rispetto al contratto generale, sostengono, sono cambiate alcune cose e cioè la vendita del 51% di Fidis e l’aumento di capitale.

In realtà un valore quel put ce l’ha, il problema è che Gm vorrebbe liquidarlo con 1 miliardo di dollari, Fiat invece ne vorrebbe 3. E proprio sul valore della cancellazione si è consumata la rottura delle trattative, ma entrambi sanno che ricorrere al tribunale di New York per stabilire se Gm deve comprare potrebbe costare molto di più.

Proprio ieri a chiarire la posizione di Fiat in merito è intervenuto il presidente Luca Cordero di Montezemolo che si è detto: “assolutamente convinto dei nostri diritti e della validità della put option”.

Il mercato però ha mostrato tutta la sua delusione per il mancato accordo penalizzando il titolo torinese ricacciato sotto la soglia psicologica dei 6 euro.

Ma il tempo stringe soprattutto per il Lingotto: a settembre Fiat deve restituire 3 miliardi di euro alle banche che hanno sottoscritto un prestito convertendo. Se non paga, le banche diventeranno il principale azionista. Ovviamente Profumo, Passera & company non ci pensano nemmeno a diventare i padroni del Lingotto e forse anche loro concederanno un rinvio, ma la scadenza è vicina.

Al contrario, Gm preferisce prendere tempo anche perché nelle ultime settimane altri problemi hanno tolto il sonno ai vertici americani: innanzitutto la crisi di fiducia dei mercati finanziari.

Le obbligazioni Gm infatti rischiano seriamente il declassamento il che non sarebbe davvero buona cosa. Finora, il pericolo è stato scongiurato grazie al provvidenziale intervento di Lehman Brothers, che ha modificato il criterio di selezione dei suoi fondi.

Altra questione è il crollo delle vendite dei modelli più “gettonati”; ma su tutto pesa il costo previdenziale che si deve sobbarcare il colosso di Detroit: basti pensare che solo nel 2004 Gm ha sborsato poco più di 5 miliardi di dollari per l’assistenza sanitaria.

Pur tuttavia, anche se il colosso Usa è malandato e nell’ultimo trimestre ha ridotto gli utili del 37% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a livello mondiale con il settore auto riesce ancora a fare utili, 235 milioni di dollari negli ultimi tre mesi, nonostante i 345 milioni di dollari di buco della europea Opel.

Fiat al contrario chiude i primi 9 mesi del 2004 con una perdita di 1 miliardo e 200 milioni e debiti schizzati a 5.5 miliardi di euro.

Elementi che non fanno altro che accrescere le incertezze e le preoccupazioni che serpeggiano tra gli oltre 30mila dipendenti di Fiat Auto. E tra i lavoratori non sono pochi quelli che auspicano l’ennesimo intervento del Governo per evitare il peggio.

Dal canto suo, Palazzo Chigi si dice “per ora” fuori dalla vicenda, ma i beni informati sostengono che un probabile intervento statale nella crisi Fiat è all’ordine del giorno; tra le forze politiche intanto si sono creati due schieramenti con Forza Italia e Lega che non vogliono dare aiuti a Torino, An invece si mostra più possibilista.

Fuori dal coro, però, c’è chi giura che un intervento statale sarebbe addirittura “controproducente”; molto più proficuo il sostegno degli azionisti. E in fondo, a pensarci bene è davvero opportuno che ancora una volta sia lo Stato a guarire i mali dell’industria italiana?

ALAN FRIEDMAN
4/2/2005