Lula, il presidente che ha inventato il “ceto medio” brasiliano

17/08/2010

Il Brasile è stato eliminato dai mondiali di calcio ai quarti, ma la Commissione Economica dell’Onu per l’America Latina e i Caraibi (Cepal) prevede per il 2010 una crescita economica portentosa, del 6,5-7%. Che è addirittura un calo rispetto all’incredibile 10,29% registrato a maggio. Se vogliamo, è in questa contraddizione un bilancio del Paese dopo otto anni di governo di Lula, e nel momento in cui si appresta a passare la mano per aver raggiunto il cumulo costituzionalmente ammesso di mandati.

Il sindacalista che per tre campagne elettorali aveva perso proprio in quanto demonizzato come pericoloso populista e che a sua volta era stato l’idolo dei no global inventore del Forum di Porto Alegre, è arrivato infine alla Presidenza alla quarta volta grazie alla costruzione di una vasta rete di alleanze al centro. Questa alleanza si è andata poi via via estendendo addirittura alla destra, impostando la sua scommessa su una difficile combinazione tra ortodossia economica e misure per aumentare il potere di consumo dei ceti più umili, come il famoso Piano Fame Zero.

Era una sfida molto complicata, ma non c’è dubbio che sia stata vinta. Crescita a parte, il Brasile ha pure una quota record di 252,526 miliardi in dollari di riserve valutarie, che gli hanno permesso addirittura di diventare creditore del Fondo Monetario Internazionale per 10 miliardi. Nel primo trimestre del 2010 i posti di lavoro creati sono stati 1,4 milioni. Gli investitori sgomitano per venire: la General Motors ha appena annunciato una nuova sede a San Paolo; la Toyota dice che costruirà un nuovo stabilimento; Berlusconi è venuto a promuovere un mazzo di sigle tra cui spiccano Fincantieri, Finmeccanica, Ffss, Piaggio, Fiat, Pirelli, Iveco, Eni. E quel che è importante, anche la distribuzione del reddito è migliorata: cosa notevole, in un Continente dove spesso il modello economico ortodosso è quello in cui le economie vanno bene la gente però sta male (invece il modello populista è quello egualitario in cui economia e gente finiscono per stare male assieme).

La povertà con Lula è infatti caduta dal 26 al 23%. L’indigenza dal 15 all’8%. La partecipazione al reddito del 50% più povero è passata dal 13 al 15%. Quella del 10% più ricco è scesa dal 47 al 43%. La disoccupazione è scesa dal 13 all’8,9%. I salari reali sono aumentati del 15%. Insomma, Lula è riuscito infine a creare quel ceto medio che, come fu individuato fin dal tempo di Aristotele, è la vera base per ogni democrazia. Secondo un recente studio della Fondazione Getúlio Vargas, ormai il ceto medio brasiliano sarebbe arrivato alla metà della popolazione, accogliendo nei suoi ranghi oltre 27 milioni di nuovi membri negli ultimi sei anni. Si tratta di 91 milioni di persone, esattamente il 49,22% dei brasiliani, che con redditi compresi tra i 115 e i 4807 reais, tra i 586 e i 2530 dollari, detengono il 46% del reddito nazionale. Nel 2003 non si trattava che di 64,1 milioni di persone, che rappresentavano solo il 37,56% della popolazione e concentravano il 37% del reddito.

Negli anni di Lula è stato anche realizzato uno sforzo decisivo per porre rimedio a quella debolezza energetica che costituiva il grande tallone d’Achille del Paese. La scoperta degli immensi giacimenti di petrolio nell’Atlantico del Sud che renderanno il Brasile un Paese esportatore di greggio, l’asse del bioetanolo con gli Stati Uniti, la costruzione della nuova gigantesca centrale idroelettrica amazzonica di Belo Monte, il programma nucleare testimoniano che questa politica non ha badato solo alla quantità ma anche alla qualità, attraverso una decisa diversificazione. Anche se, ovviamente, petrolio sotto il mare, dighe amazzoniche, bioetanolo e nucleare hanno potentemente contribuito a far crollare il mito di Lula nel mondo ecologista. Ex-compagna di lotta di Chico Mendes, la sua ministro dell’Ambiente Marina Silva ha finito per litigare con lui, e alle imminenti presidenziali correrà contro la “delfina” ufficiale di Lula, Dilma Roussef. Greenpeace gli ha elargito motoseghe d’oro in quantità. Sting è tornato in Amazzonia a protestare assieme agli indios, accompagnato dal regista di Avatar James Cameron.

Non è il solo punto per cui Lula è stato criticato. Forse le critiche meno motivate sono quelle sulle sperequazioni sociali che restano. Certo, c’è ancora un 40% di persone con entrate inferiori ai 1115 reais, pari a 70 milioni di persone; e l’indice di diseguaglianza continua a essere dei peggiori del mondo. Ma non si può rimediare a secoli di sottosviluppo in soli otto anni. Più grave è semmai il problema degli elevatissimi indici di delinquenza, per non parlare di quelli di corruzione, da cui il Partito dei Lavoratori (Pt) che Lula aveva fondato è stato devastato. E poi c’è il risvolto del grande protagonismo internazionale che Lula ha avuto: nel G-20, nel Bric, nell’Ibsa con India e Sudafrica, al Wto, nell’Osa, nel Mercosur, in Africa, nella Lusofonia, nei Vertici Ibero-Americani, con l’ottenimento di mondiali e Olimpiadi.

Magari, è anche giusto che Lula abbia voluto giocare a tutto campo, per dare l’idea di voler essere amico di tutti e nemico di nessuno: la firma dell’asse del bioetanolo con Bush mentre un suo ministro firmava un accordo sulla Banca del Sud con Chávez; la visita in Iran dopo quella con Israele; i viaggi dal Forum Sociale Mondiale a quello Economico di Davos. Ma Lula ci ha aggiunto un tocco caratteriale che invece di un’impressione di equilibrio ha finito per darla piuttosto di cinico banderuolismo: il tentativo di mediazione nucleare con lo stesso Iran dopo aver firmato un acccordo militare con gli Usa; il doppio linguaggio con Chávez di pieno appoggio e nelle dichiarazioni alla stampa moderata di critica a Chávez; il dichiararsi felice per la liberazione dei dissidenti cubani dopo aver in pratica detto che stavano bene in galera… Quel tipo di ambiguità di cui d’altronde anche noi italiani abbiamo avuto un saggio, col caso Battisti.

Con tutto ciò, è sempre meglio aver come presidente un Lula che un Chávez. E probabilmente è anche meglio un Lula che uno Zapatero, anche se poi è la Spagna economicamente disastrata che si è portata a casa la Coppa del Mondo. Ma nella vita, si sa, non si può avere tutto.

Fonte:
L'Occidentale