L’Istat conferma il balzo del Pil (+0,6%) nel 1° trimestre 2006

09/01/2009

L’economia italiana, com’era nelle attese, ha mostrato un significativo rialzo del Pil nel primo trimestre 2006, dopo il completo ristagno nella parte finale dello scorso anno, in un contesto di forte recupero della produzione industriale , che sconta peraltro il freno della perdita di competitività e della domanda interna per consumi che continua a essere debole. E’ quanto mettono in evidenza i più recenti dati congiunturali, a cominciare dai conti economici trimestrali del Pil per il 2006, resi noti dall’Istat il 9 giugno nel dettaglio delle loro componenti, a conferma della stima preliminare dello scorso 12 maggio. I valori destagionalizzati e corretti con il numero di giorni lavorativi indicano una crescita del Pil pari a +0,6% sul periodo precedente, che si attesta a +1,5% in termini annui; il dato tendenziale migliora sensibilmente la ridotta dinamica del quarto trimestre 2005 e quella pressoché impercettibile del secondo e terzo. La fase iniziale di quest’anno si è delieata, quindi, come un periodo favorevole per la nostra economia, che dovrebbe avere finalmente imboccato la strada della ripresa, con un buon progresso rispetto al trimestre finale del 2005. L’attività produttiva sta oggi uscendo dalla lunga stagnazione che l’ha caratterizzata per ben un quinquennio, manifestando chiari spunti di risveglio. L’effetto di trascinamento del primo trimestre sull’intero 2006 non è più, inoltre, trascurabile ed è pari a +0,9%; esso rappresenta, in altre parole, la variazione che si otterrebbe nella media dell’anno se il livello del Pil restasse fermo nei successivi tre trimestri. Nel primo trimestre 2006 si registra, in particolare, un contributo leggermente favorevole del commercio estero (esportazioni nette), ma anche la conferma del recupero della domanda interna, nonostante la persistente debolezza dei consumi; nello stesso tempo, si verifica un certo decumulo di scorte, che influenza positivamente l’andamento della produzione industriale (e del Pil) nella prima metà dell’anno. Questa evoluzione potrebbe portare a un aumento del Pil intorno all’1,5% nella media del 2006.

Con la crescita zero del 2005, così come nel 2003 e a fronte dell’1,1% nel 2004, l’economia italiana ha fatto segnare il peggior risultato dal 1993 (-0,9%) e si è confermata il fanalino di coda dell’area euro, dove il Pil è invece aumentato dell’1,3% nel suo complesso. Se si tiene conto dei giorni lavorativi in meno (quattro) rispetto a un anno prima, la variazione è pari a +0,1%, ma resta pur sempre impercettibile. E’ quanto mettono in evidenza i conti economici nazionali 2001-2005, resi noti dall’Istat il 1° marzo, nella periodica revisione generale realizzata secondo le regole dell’Unione europea, che ha visto il passaggio al nuovo sistema dei conti Sec 2000. La stima monetaria del Pil, in particolare, è stata rivalutata del 2,5-2,8% nel quinquennio, grazie al miglioramento dei metodi e delle fonti statistiche utilizzate; i servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati (Sifim) sono stati, a loro volta, allocati nei settori utilizzatori finali, innalzando il livello dei consumi privati e pubblici, così come delle esportazioni e importazioni. Il ritocco in aumento del calcolo del Pil ha, inoltre, lievemente ridimensionato l’incidenza dei principali aggregati del bilancio pubblico (spese, pressione fiscale, debito), rendendo un po’ meno pesanti i relativi parametri, a cominciare dal rapporto debito/Pil. Ma la tendenza al deterioramento degli ultimi anni non cambia, trattandosi di un recupero solo apparente.

Nello scenario di una buona tenuta della ripresa nell’economia internazionale, trainata dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti dell’Asia (Cina e India in testa), a cui si è di recente aggiunto il Giappone, anche Eurolandia ha a sua volta accelerato il passo: il Pil, nel primo trimestre 2006, ha confermato la sua accresciuta velocità di espansione, mettendo a segno lo 0,6% in termini congiunturali e l’1,9% in quelli tendenziali (+0,3% e +1,7% rispettivamente nel quarto trimestre 2005). L’aumento medio annuo previsto per il 2006 è, inoltre, pari al 2,2-2,3% nel complesso dell’eurozona. Considerando, in particolare, i maggiori paesi, il quadro appare a luci e ombre; se permangono i dubbi, infatti, sullo stato di salute italiano, l’economia tedesca manifesta ormai evidenti segnali di ripresa, mentre quelle francese, spagnola e britannica (quest’ultima fuori dall’eurozona) si presentano certamente meglio impostate. Il cambio più forte, per contro, da un lato può rallentare la dinamica dei prezzi in Europa, ma dall’altro crea problemi alla competitività delle imprese, frenando la crescita delle esportazioni.

La difficile evoluzione congiunturale della nostra economia è confermato dal risultato a consuntivo dello scorso anno, che sconta l’effetto frenante nella prima parte dell’apprezzamento dell’euro sulla domanda estera, le continue impennate del petrolio e la sempre diffusa incertezza nella fiducia (e nei comportamenti di spesa) delle famiglie e delle imprese sul fronte interno. Nei dati complessivi del 2005, la produzione industriale ha continuato a mostrare una perdurante fase di ristagno; e il suo andamento tendenzialmente stazionario trova riscontro nella mancata svolta ciclica favorevole, che ha interessato la maggioranza dei comparti manifatturieri. Segnali di difficoltà, sia pure episodici e intermittenti, sono arrivati inoltre dai settori dei servizi. Nella prima metà del 2006, la domanda mondiale sempre vivace e il graduale rafforzamento di quella interna (investimenti) tornano a dare un certo vigore alla dinamica del Pil, bilanciando così la passata influenza negativa del tasso di cambio. Prospettive più favorevoli per la congiuntura italiana sono delineate, infine, dagli indicatori anticipatori dell’attività economica – come quelli elaborati dall’Isae e dalla Banca d’Italia – che mostrano un profilo ciclico orientato a una moderata ripresa, dopo aver fatto segnare un significativo rialzo per buona parte del 2005.

Il quadriennio 2002-2005 si è svolto, in particolare, per l’economia italiana nel segno della più completa stagnazione: la crescita del Pil è stata di appena lo 0,3% medio annuo e per trovare un valore più basso occorre tornare a dieci anni prima (1993). Una performance così mediocre ha collocato il nostro paese nelle posizioni di coda nell’area dell’euro, cresciuta in media dell’1,3% nello stesso periodo (+0,9% nel 2002, +0,7% nel 2003, +2,0% nel 2004 e +1,3% nel 2005); solo la Germania (+0,6%) ha fatto meglio di poco dell’Italia. La fase di ristagno è da ricondurre a una serie di fattori negativi, dalla perdurante debolezza della domanda interna alle difficoltà delle esportazioni per il rafforzamento del cambio e la crisi di competitività nei grandi mercati di sbocco. Il 2005, poi, ha mostrato un andamento preoccupante; incombono, infatti, sia gli squilibri che condizionano le prospettive a medio termine dell’economia americana, a cominciare dalla debolezza del dollaro, sia la sempre diffusa instabilità geopolitica internazionale. La ripresa si delinea, pertanto, necessariamente modesta e potrà consolidarsi non prima del 2006 inoltrato. I dati completi e in dettaglio dei conti economici trimestrali mettono in evidenza un profilo congiunturale nel complesso stagnante, su cui peraltro esercita qualche influenza la composizione del calendario. Ma non si tratta di un’evoluzione a sorpresa: è stata questa la dinamica della crescita prevalente in Europa e l’Italia non ha potuto certo fare eccezione, manifestando anzi un più accentuato deterioramento.

Sull’onda della sensibile frenata della congiuntura internazionale, l’economia italiana – com’era, del resto, nelle attese – aveva fatto segnare già nel 2001 un netto rallentamento del suo ritmo di sviluppo. Dopo la buona performance dei primi tre mesi, il Pil non aveva infatti registrato ulteriori aumenti nei successivi periodi, andando così a chiudere l’anno su un incremento medio dell’1,8% (dal 3,6% messo a segno nel 2000), ma solo grazie al trascinamento dell’ultimo quarto del 2000 e del trimestre iniziale del 2001. La battuta d’arresto è stata, soprattutto, la conseguenza dello sfavorevole andamento dell’industria manifatturiera, mentre i servizi e le costruzioni hanno messo in evidenza una sostanziale tenuta, anche se con una dinamica in progressiva frenata.

Dal lato della domanda interna, la perdita di colpi della crescita ha risentito del ristagno dei consumi privati e della caduta degli investimenti. Per quanto concerne la spesa delle famiglie, hanno influito sia l’erosione del potere d’acquisto, indotta dal risveglio dell’inflazione nella prima metà del 2001 e successivamente dall’effetto changeover dell’euro, sia le negative conseguenze del crollo della fiducia. Sulla frenata degli investimenti si è fatto sentire, invece, l’effetto altalenante della recente legge di incentivazione fiscale (Tremonti bis), insieme all’incertezza sulle prospettive della domanda nel contesto di un rallentamento della congiuntura interazionale. Se la domanda estera netta ha fornito nel 2002-2003 e nel 2005 un contributo negativo alla crescita, anche su quella interna i problemi non sono, dunque, mancati: la compressione del reddito disponibile delle famiglie, con un potere d’acquisto in crescita zero tra moderazione salariale, inflazione sempre significativa ed elevata pressione fiscale, ha determinato un’evoluzione dei consumi privati che è proceduta con il freno tirato, rendendo così ancora deboli i sintomi di ripresa dell’economia. Questa crescita dal passo lento e incerto ha portato a un consuntivo di aumento del Pil per il periodo 2001-2005 pari ad appena lo 0,6% in media.

Fonte:
Il Sole 24 Ore
9 giugno 2006