L’informatica italiana guarda all’estero
09/01/2009
Meno del 9% delle aziende It italiane svolge attività all’estero, direttamente o in compartecipazione con aziende italiane o locali; solo il 24% delle aziende italiane It fa scouting tecnologico su mercati esteri più sviluppati; il 41% delle aziende It italiane collabora con imprese straniere ad attività di sviluppo congiunto.
Da questi dati parte Marco Comastri, vice presidente di Aitech-Assinform, per fotografare nel corso di un convegno svoltosi a Roma il livello di internazionalizzazione delle aziende italiane del settore It, e per presentare un progetto volto a favorire un ampliamento all’estero delle attività. I dati sopra citati non sono proprio lusinghieri, se si eccettua forse quello relativo alla ricerca e sviluppo, che però, se da una parte denota un forte interesse, dall’altro riapre il discorso sulla piaga che “di ricerca in Italia se ne fa poco o nulla, per cui bisogna andare all’estero..”.
La proposta di Aitech-Assinform mira ad analizzare le opzioni disponibili e possibili per modificare positivamente la situazione della internazionalizzazione delle imprese It italiane, proporre un itinerario progettuale (metodologia di lavoro, attività, roadmap), discutere possibili alleanze fra associazione e istituzione. Quali requisiti devono avere i vari soggetti per proporsi sull’arena internazionale con qualche chance di successo? Per i fornitori hardware, vale l’accesso al sistema di produzione e logistico globalizzato, finalizzato alla riduzione dei costi; aggiornamento in tempo reale delle conoscenze (scouting tecnologico), in modo da essere competitivi nel design e nelle funzionalità dei prodotti; rilevanza del sistema distributivo, inclusa la Gdo, per garantire mercati di sbocco. Per gli Isv, invece, servono accesso ai finanziamenti delle idee (venture capital e incubatori), aggiornamento del know how, tecnologie di sviluppo e architetture software, passaggio culturale verso prodotti pensati per operare su più mercati e molto “pacchettizzati”, ricerca congiunta e accesso a skill a costi competitivi. Le partnership sono di tipo tecnologico (integrazione con soluzioni più ampie) e commerciale (per garantire sbocchi di mercato con distributori e retailer. Infine, il segmento dei fornitori di soluzioni richiede un rapporto stretto con clienti multinazionali e la presenza locale per garantire eccellenza nelle relazioni con il supporto del cliente.
Per Comastri, questi tre segmenti possono avere maggiori chance di successo all’estero se fanno propri ed esaltano alcuni requisiti comuni: un management moderno, abituato a un ambiente globalizzato, alle partnership e a uno stile di lavoro e di cultura internazionale; una visione di lungo periodo; una certa disponibilità di supporto tecnico/logistico; un accesso facilitato a dati di mercato, al sistema dei brevetti, ai poli tecnico/scientifici locali, e un accesso ai servizi associativi e istituzionali, logistici e di consulenza, presenti nei vari paesi. Va da sé, come sottolinea Comastri, che il made in Italy di tutti i settori (dalla moda alla meccanica, dall’alimentare, a…) può avere una funzione di traino, oltre che identificare anche l’It italiano come prodotto del made in Italy.
Ed ecco la proposta che Aitech-Assinform lancia per un programma di internazionalizzazione dell’It nostrano: formazione e informazione, per accelerare la definizione completa di un sistema It; alleanze, per costruire un ecosistema di player compatibili; strumenti, per creare un’infrastruttura di servizi a supporto delle aziende aderenti all’iniziativa; comunicazione e promozione, promuovendo il concetto e le iniziative del programma. Un programma che, secondo Comastri, può prendere corpo grazie alle sinergie fra mondo del lavoro e istituzioni, che porti alla costruzione di un’industria globale dell’It italiano. Un programma e un processo che non si costruiscono d’amblé, ma andando per gradi. Il vice di Aitech-Assinform lancia infatti la proposta di un programma per il breve periodo, fatto di alcune azioni indispensabili per partire: la creazione di una sistema di rete per facilitare l’incontro fra aziende e piano di realizzazione presso fiere ed eventi pre-esistenti o ad-hoc; la raccolta di case study sia italiane che estere; lo sviluppo di una metodologia di orientamento, l’individuazione di partnership nell’area del made-in-Italy e incubazione di progetti pilota; la “profilazione” di investitori e la costruzione di un piano di relazione e comunicazione; un piano di formazione tecnica e manageriale a livello locale; un piano di comunicazione, informazione e sensibilizzazione; la creazione di un osservatorio per l’analisi dei mercati esteri e le opportunità per l’It italiana.
Fonte:
Il Sole 24 Ore