L’Europa ha bisogno di un Patto intelligente
09/01/2009
Avere dei paletti, dei vincoli che stabilizzino l’intero sistema economico senza dargli però grossi slanci: come succede con il Patto di stabilità in Europa. Oppure agire in completa di libertà, lasciando che siano i mercati a punire un’allegra gestione dei conti pubblici, come accade negli Stati Uniti: da anni oberati dal doppio deficit pubblico e commerciale, eppure in costante crescita.
Un problema di principio, che però, come spesso accade in questi casi non ha una risposta univoca. Dipende, infatti, dalle situazioni contingenti. E nel caso specifico dalla diversa storia di Europa e Stati Uniti.
Per un complesso di Stati così diversi e con sistemi economici in alcuni casi agli antipodi, evidentemente, un Patto che desse vincoli, certezze ed equilibrio era necessario. I due pilastri di questo patto fanno riferimento al rapporto tra deficit e Pil che non deve superare il 3% e al rapporto tra debito pubblico e Pil, appunto, che non deve superare il 60%.
Questi due criteri finora hanno avuto (con alcuni doverosi distinguo: vedi il caso Grecia) il merito di stabilizzare l’economia del vecchio Continente. Adesso però è necessario fare un passo in avanti. Ringiovanire il Patto, affinché, in un momento di bassa crescita dell’Europa, non faccia da tappo, ma dia una spinta a riforme e allo sviluppo dell’economia.
In che modo? Incentivare le riforme come quella sulle pensione, sul lavoro e sulla sanità sarebbe un buon inizio. Dire, per esempio, che chi si impegna a mettere in moto un circolo virtuoso dell’economia, che però non dà effetti nell’immediato ma guarda al lungo periodo, possa essere trattato con maggiore indulgenza, non è voler smembrare il Patto, ma dargli una veste nuova, più moderna.
Adattarlo alle prospettive di maggiore o minore crescita del Continente sarebbe un altro criterio importante. L’economia europea in questo momento, infatti, cresce a tassi superiori rispetto ai primi anni del 2000. Una leggera crescita che però ancora non basta ad affrontare da protagonisti la sfida di un mercato globale. La sfida che arriva soprattutto dai paesi emergenti come Cina, India e Brasile.
In fasi come queste lo Stato deve spingere il sistema Paese con interventi su competitività, investimenti e ricerca. E il Patto rischia essere un “lacciuolo” che impedisce la svolta.
Insomma una Ringiovanimento di questi vincoli è necessario: e la direzione deve essere ancorata a criteri qualitativi e non quantitativi. A criteri intelligenti, quindi. Premiare, insomma, chi agisce in modo virtuoso non vuol dire venire meno allo spirito del Trattato di Maastricht, ma vuol dire dargli nuova linfa vitale.
ALAN FRIEDMAN
18/2/2005