L’eclissi del dollaro
09/01/2009
The Economist
Il biglietto verde è stato per oltre mezzo secolo la valuta fondamentale degli scambi. Ma se l’America continuerà a indebitarsi con questi ritmi, ci saranno effetti epocali sugli sxcambi internazionali
Il dollaro è la valuta internazionale principale da tempo immemore, ma il suo ruolo dominante non può più essere dato per scontato. Se l’America continua a spendere e ad indebitarsi al passo attuale, il dollaro perderà la sua posizione di prestigio nella finanza internazionale e il processo non sarà indolore: il privilegio di essere in grado di stampare la valuta di riserva del pianeta, un privilegio che oggi è a rischio, consente all’America di ottenere prestiti vantaggiosi e quindi spendere molto di più rispetto a quello che guadagna, a condizioni decisamente superiori a quelle concesse ad altri.
Immaginate di potere emettere assegni accettati come mezzo di pagamento, ma che in realtà non vengono mai incassati, questa è esattamente l’entità del privilegio americano. Se vi fosse stata concessa questa opportunità cerchereste senz’altro di tenervela ben stretta, l’America in realtà non lo sta facendo affatto e potrebbe presto rimpiangerlo.
IL COSTO DELL’INCURIA
Il dollaro non è più quello che era, negli ultimi tre anni è crollato del 35% rispetto all’Euro e del 24% rispetto allo Yen. L’ultimo scivolone, però è semplicemente un sintomo di un malessere decisamente più grave: il sistema finanziario globale si trova sotto una fortissima pressione. L’America ha abitudini quantomeno inappropriate per il suo ruolo di guardiano della valuta di riserva principale del pianeta: debito pubblico rampante, spesa dei consumatori furiosa e un deficit dei conti correnti così alto che avrebbe potuto mandare in bancarotta qualsiasi altro paese da molto tempo. Questa situazione rende la svalutazione del dollaro inevitabile se non altro perché diventa un’opzione apparentemente attraente per i leader di un’America fortemente indebitata. Oggi sembra che siano i legislatori a trascinare il dollaro verso il basso, ma si tratta di un gioco pericoloso. Chi mai potrebbe volere investire in una valuta che quasi certamente verrà svalutata?
Una seconda caratteristica preoccupante del sistema finanziario globale è che è diventato una gigantesca macchina stampa soldi con la diffusione oltre frontiera della politica di spesa disinvolta americana. La liquidità totale sta crescendo in termini reali come mai prima d’ora. Le economie emergenti che cercano di fissare le proprie valute sul dollaro, soprattutto in Asia, sono state costrette ad amplificare la politica monetaria in super perdita dei Federali: quando le banche centrali acquistano dollari per mantenere basse le proprie valute, per farlo stampano valuta locale. Questo eccesso di liquidità globale non ha fatto aumentare l’inflazione, ma piuttosto ha influenzato i prezzi delle azioni e delle case in tutto il mondo gonfiando il prezzo di una nutrita schiera di beni.
Il deficit dei conti correnti americani è al centro di queste preoccupazioni globali. Il più recente Economic Outlook dell’OCSE prevede che il deficit raggiungerà 825 miliardi di dollari entro il 2006 (6,4% del PIL americano) presupponendo che non ci siano variazioni dei tassi di cambio. Gli ottimisti sostengono che gli stranieri continueranno a finanziare il deficit perché i beni americani offrono utili elevati e bassi tassi di rischio. In realtà gli investitori privati hanno già abbandonato i beni in dollari: i profitti sugli investimenti in America recentemente sono stati inferiori a quelli dell’Europa e del Giappone (vedi pagina 71). E’ possibile considerare “sicura” una valuta che è in declino nei confronti delle due valute seconde per importanza sulla scena mondiale ormai da 30 anni?
In un libero mercato, senza il massiccio sostegno delle banche centrali asiatiche il dollaro sarebbe molto più debole. In ogni caso anche questo supporto ha i suoi limiti e sembra che il dollaro li stia superando. Quanto saranno dannose le conseguenze economiche? Riusciranno veramente a minare lo status di valuta di riserva del dollaro?
I periodi che hanno visto un declino del dollaro sono spesso stati periodi difficili per l’economia mondiale. Il crollo di Bretton Woods, che ha indebolito il dollaro agli inizi degli anni ’70, è stato doloroso per tutti e ha contribuito alla crescita dell’inflazione e alla recessione. Alla fine degli anni ’80 il declino del dollaro ha avuto pochi effetti negativi sull’economia americana, ma ha avuto un ruolo di primo piano nella bolla inflazionistica in Giappone costringendo le autorità del paese a ridurre drasticamente i tassi d’interesse.
Questa volta è un cattivo segno che tutti stiano cercando di puntare il dito e incolpare qualcun altro. L’America sostiene che il suo deficit interno sia dovuto principalmente alla pigra crescita dell’Europa e del Giappone e al fatto che la Cina stia stabilizzando il proprio tasso di cambio ad un livello troppo basso. L’Europa allarmata a causa della crescita “brutale” dell’Euro, sostiene che i veri colpevoli siano l’alto livello di indebitamento pubblico dell’America e il basso livello di risparmio per nucleo famigliare.
Entrambe queste affermazioni hanno uno sfondo di verità. La Cina e altre economie asiatiche dovrebbero favorire la crescita delle proprie valute, attenuando quindi la pressione sull’Euro. E’ anche vero che l’Asia è parzialmente responsabile dell’orgia consumistica americana: gli eccessivi acquisti delle banche centrali asiatiche di titoli di stato hanno depresso i rendimenti dei titoli, incoraggiando quindi le famiglie americane a sottoscrivere mutui più alti e ad aumentare le spese. L’Europa deve accettare, volente o nolente, che un dollaro più debole può essere positivo se aiuta a diminuire il deficit americano e ridurre il rischio di una crisi futura. Allo stesso tempo ha ragione anche l’Europa: la responsabilità maggiore per il deficit americano è dell’America stessa che deve necessariamente tagliare il proprio deficit di bilancio. Non si tratta di fare questo o quello: per evitare la crisi sono necessari un dollaro meno caro e un aumento del risparmio americano.
SEMPLICE MA SPIACEVOLE
Molti legislatori americani parlano come se la cosa migliore da fare sia affidarsi completamente al dollaro in declino per risolvere in qualche modo tutti i loro problemi. Potrebbe anche succedere, ma un rimedio così unilaterale sarebbe sicuramente molto più doloroso di quanto si possa immaginare. La sfida dell’America è rappresentata non solo dalla riduzione del proprio deficit di conto corrente ad un livello che gli stranieri siano disposti a finanziare acquistando più beni in dollari, ma anche dalla capacità di persuadere i creditori stranieri esistenti a conservare le proprie ampie scorte di beni in dollari, stimati in quasi 11 mila miliardi di dollari. Un crollo del dollaro sufficiente a chiudere l’attuale deficit di conto corrente potrebbe distruggerne lo status di paradiso sicuro. Se il dollaro crollerà di un ulteriore 30%, come previsto da molti, questo causerebbe l’inadempienza più grave della storia: non una semplice inadempienza convenzionale, ma un’inadempienza furtiva che ridurrà di migliaia di miliardi il valore dei beni in dollari degli stranieri.
La perdita da parte del dollaro del suo status di valuta di riserva porterebbe i creditori dell’America ad incassare i propri assegni, e il numero di assegni da incassare è incredibilmente alto. L’avvio di questo processo farebbe crollare il dollaro sempre più in basso, i rendimenti obbligazionari americani schizzerebbero verso l’alto causando molto probabilmente una profonda recessione. Gli Americani che sono in favore di un dollaro debole dovrebbero stare molto attenti a quello che dicono, tagliare il deficit di bilancio sembra economico a quel prezzo.
Panorama Fonte:
© The Economist Newspaper Limited, London, 2004